“Se avessi tutto questo, sarei più gentile.” Così dice un padre di famiglia disperato e tragico,Kim Ki-taek (interpretato da Song Kang-ho), della casa dei suoi nuovi datori di lavoro, la famiglia Park. Una città murata traboccante di ogni comfort e creature high-tech: tutto l’opposto della dimora della famiglia Kim, un tugurio sotterraneo che sbircia su un vicolo di Seoul. Per i Kim, la scintillante tenuta è come una terra promessa, a pochi quartieri dalla loro casa e tuttavia completamente fuori portata.
Queste due dimore sono al centro del Parasite di Bong Joon-ho, il film che quest’anno ha vinto all’unanimità la Palma d’oro al Festival di Cannes. Pochi cineasti riescono a gestire un mix di toni così vertiginoso che vede il dramma sociale cedere il passo all’ironia per poi sconfinare nel thriller.
Per Bong, l’uomo dietro a opere che definiscono il genere come Memories of Murder, The Host e Snowpiercer, è un marchio di fabbrica. Come in molti grandi film, meno si conosce la storia meglio è. E’ sufficente sapere che grazie ad un piano diabolico, la famiglia Kim, padre, madre, fratello e sorella, riesce ad intrufolarsi nella vita dei coniugi Park e a sistemarsi nella loro casa, ognuno con un compito specifico.
Nel mondo reale, i percorsi di una famiglia povera e di una ricca non si incrocerebbero mai se non per questioni di lavoro. Accade così che nel momento in cui si ritrovano a stretto contatto da poter sentire l’uno il respiro dell’altro, le cose iniziano sorprendentemente a perdere il controllo, anche se, poiché si tratta di un film di Bong Joon-ho, i conflitti si sviluppano in un modo che è difficile da prevedere.
Quello che Bong cerca di descrivere è il modo in cui il capitalismo spinge le persone agli estremi e le mette l’una contro l’altra in un gioco a somma zero per sopravvivere. Parasite ha un’innegabile coscienza sociale, senza scadere nel moralismo. Il regista non crea una semplice dicotomia buono/cattivo tra le due famiglie per descrivere la progressiva polarizzazione e le diseguaglianze della nostra società. I Park sono più spensierati e ammiccanti che malvagi, mentre i Kim sono tutt’altro che santi o nobili emblemi della perseveranza della classe operaia. Bong è sempre stato un narratore politico, nel senso che sa che qualsiasi tipo di storia può essere politica. Questa volta ha dato dimostrazione di essere un vero talento della cinematografia internazionale raccontando meglio di molti altri registi una storia tragicomica sugli umani.