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Alita, il cyborg con l’animo umano, trapiantato in un corpo robotico

Elena Marcheggiano Dal Forno by Elena Marcheggiano Dal Forno
13 Febbraio 2019
in Spettacoli
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Alita, il cyborg con l’animo umano, trapiantato in un corpo robotico
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La pellicola è l’adattamento del Manga “Alita, l’angelo della Battaglia”. Pubblicato in Giappone fra il 1990 e il 1995, il manga è arrivato in Italia nel 1997, dove è diventato subito un cult. La sua trasposizione al cinema con le sembianze di Rosa Salazar (presente nelle saghe di Divergent e Maze Runner e, di recente, in Bird Box), ha avuto una gestazione lunghissima. Sono infatti quasi 20 anni che James Cameron e Benicio Del Toro si occupano del progetto che finalmente vede la luce nelle sale, anche in 3D. Uscirà nelle sale italiane domani 14 febbraio.

In un futuro distopico in cui convivono umani e cyborg, la violenza è all’ordine del giorno. Alita, una ragazza-cyborg  viene ritrovata semidistrutta e priva di memoria in una discarica da Daesuke Ido, un “dottore per cyborg”.  Un pretesto narrativo per creare un’avventura fantascientifica epica, ambientata  tra le strade della città fluttuante di Salem. 

Alita è un progetto immenso e un budget stramilionario (150 milioni di dollari) per un film per donne combattive (e di questi tempi è un leit motiv che non guasta) annuncia da incassi record. Eppure. Resta una sensazione strana a fine visione, quella di aver visto un enorme spreco di denaro per un film che tutto sommato sembra un continuo dejà-vu. Diretto da quel  Robert Rodriguez che si fece conoscere al grande pubblico con “El Mariachi” (film di grandi idee e zero budget, ovvero l’esatto opposto di questo) “Alita” poteva avere le stimmate del capolavoro invece si riduce ad una serie di stereotipi alquanto banali sulle città del futuro, sulla fama e il successo e sulla avidità di certi personaggi che governano il mondo. Tra città alta e bassa, tra il sogno di una vita migliore (ma davvero?) e la lotta per emergere. Ma perché poi dovremmo voler andare ad abitare nella città alta? Non si capisce mai. Ma perché questo gioco sui pattini simil Rollerball affascina tanto? Dopo 121 minuti ancora non l’ho capito. Mi sembra che così giocassero già a calcio i Maya, o almeno così ci raccontano. Non proprio gran futuro. Nel cast compaiono anche Rosa Salazar, Christoph Waltz, Keean Johnson, Mahershala Ali, Jennifer Connelly, Ed Skrein e Jackie Earle Haley.

In realtà possiamo capire molto del film da una battuta che Christoph Waltz pronuncia verso l’inizio, quando Alita, la ragazzina che lui ha riportato in vita, con un cervello umano, un corpo robotico  e occhi infinitamente grandi per accogliere tutta la vita che c’è indica la città nel cielo. La piccola chiede se sia la magia a tenerla lì, sospesa: “Qualcosa di più forte della magia: l’ingegneria”. Ecco come si dovrebbe guardare Alita, come un capolavoro di ingegneria, di effetti speciali, di tecnica quasi magica nel produrre effetti, sentimenti, emozioni che solo il grande schermo sa produrre. Del resto la pellicola nasce addirittura in un 3D nativo, ovvero girato in quel modo fin dall’inizio, e l’uso che se ne è fatto è assolutamente magistrale, niente da dire.

Ma la storia sembra onestamente datata, priva di invenzioni o sconvolgimenti tali da farci urlare al capolavoro. Proprio perchè il progetto risale al 2000, ha in sè un passato dal quale dovrebbe liberarsi se vuole guardare meglio al futuro. Guardare con quegli occhi terribilmente grandi e romantici della sua protagonista, onestamente l’unica cosa che rimane dentro dopo 121 minuti.
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Elena Marcheggiano Dal Forno

Elena Marcheggiano Dal Forno

Elena è giornalista pubblicista dal 1994 e vegana dal 2011. Si occupa di vita in generale, cinema, arte, tennis, diritti degli animali. Quando non è al cinema è in viaggio. Spesso la cosa coincide. Scrive anche sul Corriere della Sera.

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