“Santiago, Italia’ il nuovo film di Nanni Moretti sul Cile, in sala dal 6 dicembre con Academy Two, arriva tre anni dopo ‘Mia madre’ per mettere sotto accusa un Paese, l’Italia, che non sembra più capace di essere umano.
Dedicato al colpo di stato dell’11 settembre 1973 di Pinochet che pose fine al governo socialista di Salvador Allende in Cile, ‘Santiago, Italia’ è una lunga serie di interviste ad alcuni dei protagonisti di quell’evento e che oggi raccontano la loro esperienza. In mezzo tante immagini di repertorio sulla fine del governo socialista di Allende e sul ruolo dall’ambasciata italiana a Santiago che diede rifugio a centinaia di oppositori del regime, consentendogli poi di raggiungere l’Italia. Molti di loro, tra cui anche anziani e bambini, arrivarono all’Ambasciata scavalcando il muro della sede diplomatica italiana. Di fronte a questa “invasione”, l’allora ambasciatore italiano Piero De Masi decise di accogliere tutti, in mancanza di risposte ufficiali dall’Italia.
“Era un Paese innamorato di Allende e di ciò che stava succedendo”, dice nel documentario il regista Patrizio Guzman. Un altro regista Miguel Littin spiega:”la scommessa di Allende era creare un socialismo umanista e democratico, che distingueva il governo di Unidad Popular da tutti gli altri socialismi esistenti all’epoca”. Tra gli intervistati, la giornalista Marcia Scantlebury che ricorda: “mi trovavo lì, bendata e all’improvviso qualcuno bussa alla porta e vedo una delle torturatrici che era una che si divertiva, che quando ti torturavano gridava: “Dagliene ancora, perché questa sa e non vuole parlare”. Mi dice: “Signora Marcia, perché non esce un attimo, che le voglio chiedere un favore?” Io esco, lei mi toglie la benda, ed era incinta di sette o otto mesi… Stava per diventare madre, aspettava un figlio. Stava lavorando a maglia, e allora mi fa uscire per farsi aiutare”.
Patricia Mayorga racconta invece com’era la vita dentro l’Ambasciata:”una vita che non c’entrava niente con quello che si viveva fuori. Però eravamo di uno stalinismo! Per esempio mi ricordo che un vecchio signore socialista è stato espulso dal suo partito all’interno dell’ambasciata per indisciplina, perché si è rifiutato di sbucciare le patate. Ha detto che lui non aveva mai sbucciato patate nella sua vita e non vedeva perché doveva cominciare lì. Perché tutti dovevamo …tutti facevamo gli stessi lavori”.
Non mancano le testimonianze di due militari ormai in carcere a cui Moretti chiede come sia stato possibile che l’esercito abbia bombardato il suo stesso palazzo presidenziale con dentro Allende poi trovato morto (per suicidio o assassinato?). I due si giustificano, alludendo al “pericolo comunista”.
Con il suo talento espressivo e la sua sensibilità, Moretti affronta un evento fondamentale della storia del Cile e della guerra fredda, per raccontare l’Italia di oggi caratterizzata da una forte tendenza a chiudersi, a girarsi dall’altra parte. Un paese dove la sinistra sta sparendo e la destra si sta trasformando. “Finite le riprese, è diventato ministro dell’ Interno Matteo Salvini e allora ho capito perché avevo girato quel film. L’ho capito a posteriori”, dice Moretti in un’intervista rilasciata al Venerdì di Repubblica. “Ci sono forze politiche che vengono votate non nonostante la loro violenza verbale ma proprio perché ne fanno uso. La solidarietà, l’umanità, la curiosità e la compassione verso gli altri sembrano essere bandite. C’ è uno slittamento progressivo ma inarrestabile verso la mancanza di umanità e di pietà…”
In Santiago, Italia emergono due nazioni a confronto. L’Italia del golpe cileno e quella presente in profondissima crisi di identità, che sembra metterne in discussione la stessa scala valoriale. “Sono arrivato in un paese che aveva fatta la guerra partigiana e che aveva difeso lo statuto dei lavoratori. Oggi viaggio per l’Italia e che somiglia sempre di più al Cile, alle cose peggiori del Cile. Una società di consumismo terribile, dove la persona che hai al fianco non te ne frega niente, se la puoi calpestare la calpesti. Questa è la corsa: l’individualismo”, afferma, esagerando un po’, l’imprenditore Erik Merino, ex esule dal Cile negli anni Settanta.