Nonostante gli anni passino, i grandi attori americani conservano immutato il loro fascino e l’aura di magia che li avvolge. Non fa eccezione la mitica Sigourney Weaver che ha raggiunto Roma, special guest del direttore Antonio Monda che l’ha fortemente voluta in questa 13. edizione. Una donna dal carisma intatto, che si è raccontata a tutto tondo a pubblico e giornalisti toccando anche temi di un certo peso come la questione Weinstein, quella ambientale e il caso Polanski. Molto curiosi comunque gli outfit con cui l’attrice si è presentata, alla conferenza stampa con una sorta di broccato stile arazzo su camicia bianca e alla serata con red carpet in una tunica bianca e rossa.
Simpatica, ironica, ammiccante e mai passiva, gentilissima, Sigourney ha lasciato in tutti un’impressione splendida, firmando centinaia di autografi e rendendosi disponibile a qualunque show, anche a quello che l’ha vista sfilare sul tappeto rosso con 5 fans vestiti da Ghostbusters.
Una delle domande che normalmente deve farsi è quello di comprendere come mai a Sigourney è stato calato questo ruolo di icona del genere fantascienza.
“Quello che mi affascina in realtà nei film sono le storie – afferma la Weaver – non tanto il genere per sè, così è capitato per Ghostbusters o Avatar. Quello che capita è che in questi film più che in altri ci si chiede chi siamo? dove stiamo andando? cosa stiamo facendo su questo pianeta? Sono domande esistenziali fondamentali che mi interessano ma non ho pianificato la mia carriera perchè accadesse. E’ accaduto e basta. All’inizio volevo solo fare l’attrice di teatro e lavorare in qualche bella compagnia con parti più grandi o piccole ma non avrei mai immaginato tutto questo, di entrare così a fondo nell’industria cinematografica”.
Però è vero che a lei non danno ruoli da fidanzatina o troppo romantici.
“Vero, ma del resto quando entro nello studio di un produttore, dall’alto del mio metro e ottanta, questi mi guardano e si siedono impauriti e poi mi dicono che a me non pensano certo come ad una fidanzatina carina occhi blu e capelli biondi, quindi alla fine faccio ruoli da cattiva o da antagonista”.
I suoi genitori che ruolo hanno avuto?
“Mio padre era un produttore televisivo e quando veniva a casa dal lavoro era felice, mia madre ha dovuto abbandonare la carriera da attrice a causa del matrimonio e non l’ha presa bene quando ho detto che andavo ad Hollywood, mi disse Guarda che i produttori ti faranno sdraiare sul divano prima”.
Un punto in effetti dolente questo, il movimento delle donne ha dato una grande scossa ad Hollywood. “Assolutamente era una cosa che si sarebbe dovuta fare molto prima. E’ un step vitale per la lotta per qualità e il rispetto del nostro lavoro e quelle donne coraggiose che sono venute allo scoperto hanno davvero iniziato una rivoluzione. Molti volevano che questo accadesse e i registi e la Hollywood che io conosco si sente davvero sollevata da un peso. Ci sono molte più possibilità ora e più tranquillità. I movimenti #metoo e #timesup sono fondamentali per riportare questa tutela e questi diritti, che ancora non esistono per esempio in una certa parte della Costituzione. C’è ancora molto da fare ma è stato un passo enorme”.
Di tutti i registi che ha avuto quale è stato quello che l’ha meglio capita e c’è qualcuno con cui vorrebbe lavorare?
“Ho avuto la grande fortuna di lavorare con registi fantastici, e ho una relazione davvero speciale con Jim Cameron, ma quello con cui ho avuto un feeeling molto profondo è stato Ang Lee in Ice Storm. Non ci siamo praticamente parlati ma ci intuitivamente ci guardavamo e ci capivamo, sorprendentemente. Ho incontrato Luca Guadagnino e abbiamo avuto dei contatti per lavorare insieme ma poi non se n’è fatto nulla, ma con lui lavoreremo e poi mi piacerebbe Scorsese che è qui a Roma e magari adesso vado a chiederglielo” dice sorridendo.
Tra i suoi film troviamo Gorilla in the Mist in cui gira con dei Gorilla un ruolo in cui davvero esce con un’umanità e un attivismo che resta attuale-
“Ogni film che ho fatto è una grande esperienza. Lavorare in Africa con una troupe internazionale per la prima volta, interpretare una storia vera che è quella di Dian Fossey, lavorare con il suo gruppo di studio mi ha dato una felicità immensa e incoraggio chiunque di voi qui abbia una possibilità di incontrare questi animali meravigliosi, sono dolci e gentili. Sono umani. E sono cambiata con questo film, sono ancora in contatto con loro e li aiuto”.
Cosa ricorda dell’incontro con Scott e di Alien, si immaginava quel successo?
“Alien e l’incontro con Ridley Scott naturalmente segna un’epoca. Fu il mio primo lavoro e per Scott il secondo, improvvisammo molto su quel set, mi piaceva tantissimo essere Ellen Ripley, e stare in quei panni. Non facemmo molte prove e per me che venivo dal teatro fu abbastanza complesso e anche pauroso, ma tutto funzionò come doveva e nessuno avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo dopo. Ma quando vidi lo storyboard, con le uova e le facce e tutta la storia pensai subito che non si era mai visto cinematicamente nulla di simile. Segnammo un genere e un’epoca”.
Nell’incontro con il pubblico ha poi ricordato attraverso le clip dei suoi film la sua straordinaria carriera, Alien, Ice storm, Gorillas in the Mist, Avatar, Working Girl, Ghostbusters e Death and the Maiden.
e ha affrontato il tema Polanski passando attraverso il film e raccontando un episodio che ha riguardato loro due nella preproduzione del film “Death and the Maiden”.
“Roman volle incontrarmi a Roma, non so perchè. E quindi pranzammo in un ristorante all’aperto a parlare del film e dello script ecc. Sei mesi dopo mi chiama e mi dice che un giornale dice che siamo amanti e quindi devo fargli causa. E io gli dico “Roman, non posso fare causa al giornale perchè questa è la storia più bella che sia mai stata scritta su di me”.
Che regista è Polanski?
“Quando facemmo la prima lettura con tutto il cast, lui lesse tutte le parti di tutti gli attori e la cosa fu parecchio inusuale. Credo che lo script fosse abbastanza distante dal testo originario e Roman gira cronologicamente quindi fu un’esperienza strana anche perchè non avevamo l’elettricità sul set. Il testo originario lo conoscevo ma Roman ne aveva fatto altro, lui era stato accusato, era la vittima, ma era anche il povero marito che non sapeva che fare e credo che volesse assolutamente fare di questo film il suo personale manifesto”.
Il finale con il pubblico è stato assolutamente romantico con un film scelto dalla stessa Weaver per chiudere l’incontro.
“Ho scelto Brokeback Mountain di Ang Lee perchè è una delle più belle storie d’amore mai raccontate. Ang mi disse che doveva assolutamente fare questo film per capire che cosa lo aveva così profondamente toccato e credo che questo film sia un autentico capolavoro”.
Ha mai pensato di girare un film?
“Sì, l’ho pensato, ma non ho il talento di mio marito e ho una figlia e girare un film sono almeno due anni di lavoro e non ho mai trovato questo coraggio”.
Elena è giornalista dal 1994 e vegana dal 2011.
Si occupa di vita in generale, cinema, arte, tennis, diritti degli animali. Quando non è al cinema è in viaggio. Spesso la cosa coincide.
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