La farfalla sul ring è la boxeuse Irma Testa. Butterfly è il soprannome che le ha dato il suo maestro e mentore Lucio Zurlo quando era poco più che bambina ed è il titolo del docu-film diretto da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman: la storia della ragazza oplontina, la prima atleta donna pugile ad essere stata selezionata per le Olimpiadi. Irma Testa arrivò a Rio nel 2016. Fermatasi ai quarti di finale, la delusione per quella sconfitta fu difficile da superare. Presentato in concorso al Festival del Cinema di Roma, nella sezione autonoma Alice nella città, Butterfly mette in scena personaggi che interpretano se stessi. Irma è la protagonista del viaggio che l’ha condotta a Rio e del ritorno da quell’esperienza che ne minerà a lungo le certezze prima della reazione e di un nuovo inizio. I due registi l’hanno seguita puntuali per raccontare sì la fatica degli allenamenti, le soddisfazioni, le vittorie, così come il dolore bruciante della sconfitta, ma scegliendo un livello narrativo più vero e diretto, partendo dal punto di vista della giovane donna che esiste prima dell’atleta, al di là del ring.
L’incontro tra i due giovani registi ed Irma Testa è stato fortuito, ci raccontano. Avvenne in un momento molto particolare della vita della ragazza, un momento di cambiamento e di decisioni da prendere, come accade alla maggior parte degli adolescenti che si apprestano a diventare adulti e lo diventano in un contesto in cui se da una parte sentono il dovere della responsabilizzazione, dall’altra avvertono forte il desiderio di conquistare l’infinito mondo. Questo è il ritratto netto che ci restituiscono di Irma, la farfalla che vuole spiccare un altro volo. Da quell’incontro nasce l’idea di scrivere un soggetto che ispirasse un vero e proprio film di formazione, una mappa dialogata che ci guida nella quotidianità dell’atleta ed in senso molto stretto va ben al di là della celebrazione eroica che spesso se ne fa nelle rappresentazioni cinematografiche.
Le scene inquadrano Irma e sono le espressioni del suo volto a riempire lo spazio di ripresa, per catturarne le emozioni, prima ancora che le parole. La giovane e l’atleta, l’una e l’altra in un solo ‘personaggio’ svelato nella sua dimensione più intima rispetto a quella pubblica, esposta dal suo stesso talento sportivo, su cui si concentra l’attenzione di tutti: dai suoi concittadini, agli addetti ai lavori nel mondo della boxe, al pubblico, ai follower, amici reali e virtuali.
Il docu-film diventa anche una sorta di dono alla città di Torre Annunziata. È sì scenograficamente immersa in una depressa periferia di ritrosa bellezza, di caotiche e fatiscenti geometrie architettoniche, di vicoli nascosti e strade intasate, ma è legittimamente riscattata dal clamore criminale sbattuto nelle sezioni di cronaca nera. La difficile realtà del luogo si palesa certo, ma senza spettacolarizzazione. Vi si accenna nei dialoghi tra una figlia ed una madre, tra Irma e la sua genitrice, quest’ultima preoccupata dalla confusione insofferente di Irma e dall’ idea che ha di lasciare la boxe, la nazionale, la quotidianità spartana dell’atleta, per provare a ‘ricominciare un’altra vita’ su quel suolo natio restio a generare speranze. Oppure si paventa nelle preoccupazioni che Irma vive per Ugo, il fratello tredicenne che della scuola sembra non volerne sapere e che, senza un ‘futuro’, potrebbe diventare facile preda delle ‘male compagnie’. Il rischio di perdersi è presente, in molti modi può capitare di inciampare per poi cadere rovinosamente. Ma come in una fiaba del XXI secolo, il riscatto è a portata di fiducia e di cura dell’anima.
La boxe, lo sport metafora della vita e del riscatto per eccellenza nelle narrazioni filmiche, rilancia il suo messaggio attraverso la saggia perseveranza di Zurlo: alle cadute non si può che reagire. Così come Aurino, dopo 9 anni di carcere, torna sul ring sempre sotto la guida del mitico Zurlo, Irma riprende il suo percorso, alla ricerca di sé, vivendo da atleta, figlia, sorella, amica, oggi poliziotta, tutti i volti di una giovane donna su cui scommettere ogni giorno. Ci saranno altre Irma: una speranza e una promessa negli occhi della piccola ammiratrice che le si allena accanto. La redazione di TheSpot.news se lo augura, mentre ad Irma diamo appuntamento al 2020, alle Olimpiadi di Tokyo.