Sarà presentato in prima mondiale alla 75. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nell’ambito del prestigioso Biennale College Cinema, Zen sul ghiaccio sottile, l’opera prima della giovane regista (classe 1984) Margherita Ferri, prodotta da Articolture e distribuita da Istituto Luce Cinecittà. Formata all’UCLA di Los Angeles e poi al Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo esperienze nel documentario televisivo e cinematografico a livello nazionale e internazionale, e dopo aver co-diretto la pluripremiata web-serie “Status”, la regista emiliana approda al cinema di finzione con un racconto dal sapore fortemente autobiografico.
Maia, detta Zen, è una sedicenne irrequieta e solitaria che vive in un piccolo paese dell’Appennino emiliano. È l’unica femmina della squadra di hockey locale e i suoi compagni non perdono occasione di bullizzarla per il suo essere maschiaccio. Quando Vanessa – l’intrigante e confusa fidanzata di un giocatore della squadra – scappa di casa e si nasconde nel rifugio della madre di Maia, tra le due nasce un legame e Maia riesce per la prima volta a confidare a qualcuno i dubbi sulla propria identità. Entrambe spinte dal bisogno di uscire dai ruoli che la piccola comunità le ha forzate a interpretare, Maia e Vanessa iniziano così un percorso alla ricerca della propria identità e sessualità, liquide e inquiete come solo l’adolescenza sa essere.
Un racconto su un’amicizia, un viaggio rischioso di ricerca, di lotta, che invita a non scappare dalle crisi di identità, dalle incertezze, dalle domande pressanti del proprio intimo. In un paese e in un momento storico spesso frastornati da messaggi di sicurezza identitaria, e dove l’identità è una patente di sicurezza, la storia di due giovani adolescenti, perse in una provincia montanara, tra le ritualità di uno sport complicato e di una comunità che faticano a capire, non è una storia minoritaria. Zen sul ghiaccio sottile è una foto delicata, dura, vivace, di un paese reale.
Un film, nelle parole di Margherita Ferri che ‘racconta il disagio e le lotte che deve affrontare chi non si conforma ai ruoli di genere e all’eteronormatività imposta dalla nostra società. Ho cercato di raccontare la storia di Maia giustapponendo le sue emozioni al paesaggio dell’Appennino Emiliano, bellissimo e dimenticato. Volevo fare un film radicato nella comunità LGBT e nei nostri territori, ma con l’obiettivo di condurre il pubblico in quel cammino universale che porta alla scoperta di sé stessi, negli anni inquieti dell’adolescenza.