Cinque anni fa era a Cannes nella sezione “Un certain regard” per il suo esordio alla regia (Miele) con Jasmine Trinca. In questa edizione del Festival più importante del mondo, Valeria Golino ritorna nella stessa categoria con “Euforia”. Riccardo Scamarcio interpreta Matteo un giovane imprenditore di successo, spregiudicato, affascinante e dinamico. Suo fratello Ettore, (Valerio Mastandrea), vive ancora nella piccola cittadina di provincia dove entrambi sono nati e insegna alle scuole medie. Sono due persone all’apparenza lontanissime. Matteo guarda il mondo dall’alto del suo attico; è un narcisista che coltiva la distrazione e lo fa con il denaro, la droga, il sesso, il successo e il culto del corpo. Ettore, invece, nasconde i propri fallimenti personali, la propria insoddisfazione, la mancanza di coraggio dietro una maschera di disillusione e sarcasmo. Le loro reciproche certezze entrano in crisi quando Matteo scopre che il fratello è malato e decide di nascondergli la verità.
Lo spunto per la storia è arrivato da un’esperienza vissuta da un amico di Valeria Golino. Un film la cui tematica non può che appassionare tutti quanti noi, uomini e donne che prima o poi finiscono per confrontarsi, in situazioni diverse, con l’eterna antagonista dell’uomo, la morte. “Una scelta casuale – precisa però la regista napoletana – a cui mi sono avvicinata, insieme alle sceneggiatrici Francesca Marciano, Valia Santella e con la collaborazione di Walter Siti, nel tentativo di tratteggiare, insieme ai protagonisti, anche la nostra contemporaneità.”
Con Euphoria, Valeria Golino perfeziona l’idea di un cinema capace di produrre figure e storie per colmare i vuoti di senso di un presente che sembra rimuovere costantemente la transitorietà e irrazionalità proprie della condizione umana, spingendoci illusoriamente a credere di essere immortali. “La malattia è, invece, proprio il luogo della fragilità, della caducità, ci mette di fronte ai limiti della nostra esperienza umana ma anche a quanto di più profondo e prezioso essa custodisce”.
Il titolo rimanda nelle parole della regista a quella sensazione bella e pericolosa che coglie i subacquei a grandi profondità: sentirsi pienamente felici e totalmente liberi. E’ la sensazione a cui deve seguire l’immediata decisione della risalita prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre in profondità. E in questo senso porta i protagonisti a fare i conti con le proprie ipocrisie e a riconoscersi. Ettore e Matteo scelgono di non rimandare più il momento della consapevolezza, scelgono di tornare in superficie.