Barba e codino. Occhi di un intenso blu e sguardo attento. Joaquin Phoenix, di solito sfuggente e infastidito si presenta, stranamente sorridente, alla conferenza stampa romana di “A Beautiful Day – You Were Never Really Here”, il film tratto dal romanzo di Jonathan Ames e diretto da Lynne Ramsay (“…E ora parliamo di Kevin”), nelle sale dal 1 maggio. Un mix di azione, thriller e dramma sull’infanzia violata.
Assoluto protagonista di una pellicola, che lo scorso anno è stata premiata a Cannes per la Miglior sceneggiatura e per la Migliore interpretazione che è valsa all’attore e regista americano (42 anni) l’ambita Palma d’Oro. Joaquin Phoenix, alias Joe, è un ex marine e agente FBI, che si prende cura della madre malata. E’ un uomo complesso, tormentato dal suo passato difficile che si guadagna da vivere liberando in modo violento delle minorenni dalla schiavitù sessuale. Joe viene contattato da un senatore di New York convinto che sua figlia, Nina, sia stata rapita da una di queste organizzazioni e costretta a prostituirsi.
Per costruire il suo personaggio in conflitto con il mondo, perseguitato dai suoi ricordi e dalla violenza, l’attore originario di Porto Rico ammette: «Sono partito dalla sceneggiatura, poi con Lynne ci sono state infinite chiacchiere che si infilavano come meandri dentro un labirinto che sembrava non andare da nessuna parte e poi, all’improvviso, come una scintilla compariva un’idea che aveva a che fare con Joe. Ho studiato e letto lo sviluppo del cervello in età infantile e come le esperienze di abuso influenzano il bambino e il suo modo di ragionare. E poi Lynne mi mandava dei file audio con dei fuochi di artificio, dicendomi sono quelli che lui sente continuamente nella sua mente».
Mentre riguardo la sceneggiatura, sottolinea subito la regista scozzese Lynne Ramsay. «Oggi siamo abituati a vedere film spettacolari, come quelli della Marvel. In realtà, invece, io preferisco film dove posso approfondire e studiare personaggi complessi, con una storia, la musica, il montaggio e la recitazione. Per la sceneggiatura il libro è stato il punto di partenza, poi il film è cambiato moltissimo. Ho ampliato degli aspetti come il rapporto con la madre. Anche Joaquin è intervenuto che è intervenuto fin dall’inizio, partecipando e preparandosi fisicamente». Come Joe, che è ossessionato da alcuni insegnamenti legati alla sua infanzia, anche lui, figlio di genitori hippie, confessa: «Mi ricordo che i miei genitori mi ripetevano sempre: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. E poi l’altro consiglio era: “Segui la tua cazzo di verità”. Anche se loro non usavano proprio quella parola ma a me piace mettercela». Joe si definisce un sicario, ma poi nel corso della vicenda diventa un giustiziere. «C’è una parte di buono in Joe. Quello che volevamo fare era mostrare entrambi i lati, le due facce di questo personaggio: la parte cattiva e violenta, ma anche quella buona. Vive in questo costante conflitto. E’ alla ricerca continua della pace nella sua mente. In quest’uomo c’è la tenerezza e l’amore nel prendersi cura di questa signora anziana e malata ma anche la frustrazione». L’attore arrivato nella Capitale con la compagna Rooney Mara e che secondo alcune indiscrezioni sarebbe in trattative per un film incentrato sul personaggio di Joker, ha puntato su un film indipendente. «Non sono abituato a scegliere i ruoli in base ai soldi ma in base alle persone che sono coinvolte. Quello che mi interessa è il materiale, la sostanza e i cineasti. Mi è piaciuto molto lavorare in questo film a ritmo serrato», e sulla musica che si mescola con i rumori incessanti della città, ed è stata firmata da Jonny Greenwood il chitarrista dei Radiohead, sottolinea la regista: «Ho sempre considerato la musica e il suono prima delle riprese. La musica diventa quasi un personaggio che ti porta da altre parti. Jonny Greenwood è un genio. La collaborazione con lui è avvenuta in economia. Gli davo cinque minuti di girato e lui montava subito le musiche che sono diventate una sorta di dono».