Come si possa condensare in un’ora e trenta minuti una storia millenaria di integralismi, faide religiose e intestine oltre che mettere in discussione usi e costumi islamici ed occidentali lo sa solo Sou Abadi, la regista di origine iraniana che propone un lavoro che più che una commedia è un manifesto per la pace, l’umanità e il rispetto. Due sotto il Burqa è un film che andrebbe visto e proiettato ovunque, per spezzare quel senso di separazione tra “noi” e “loro” e riportare tutto nella giusta dimensione. Siamo umani e siamo uguali. Il pretesto è una storia d’amore tra un ragazzo francese della media borghesia e una giovane studentessa di cultura islamica ma solidamente integrata nella società occidentale. Quando il fratello di lei torna dallo Yemen un po’ troppo imbevuto di principi integralisti scoppia la tragedia. Ai suoi occhi, ora, lo stile di vita della sorella è troppo moderno. L’unica soluzione è confinarla in casa e impedirle ogni contatto con il suo ragazzo.
E’ qui che la regia e la scrittura di Abadi danno il meglio. Con ironia, cultura e intelligenza, riportando in auge tutti i trucchi delle commedie en travesti e di Billy Wilder, seguiamo le vicende dei tre ragazzi che piano piano, grazie alla forza trasformatrice dell’amore, cominciano un percorso di comprensione gli uni degli altri.
“In questo film – spiega la regista – volevo proprio dimostrare come si potesse reciprocamente arrivare ad un piano profondo di rispetto delle proprie culture, si nota bene che tutti i personaggi fanno un passo verso l’altro, nonostante le rigidità iniziali.
Il film in Francia è stato accolto benissimo, anche da chi pensava, prima di vederlo, che sarebbe stato poco rispettoso, invece ogni dubbio è venuto meno. Non mi aspettavo di certo che paesi più conformisti l’avrebbero accolto, l’Iran o l’Arabia Saudita per dire, però avrei creduto che il Marocco, la Turchia, la Tunisia o altri paesi più liberali l’avrebbero gradito ma per ora non è successo. Staremo a vedere”.
Il ritmo incalzante del film, una commedia con gustosi colpi di scena, dove si ride dall’inizio alla fine ma sempre con grande acume, è derivato proprio dalle commedie di Wilder.
“A qualcuno piace caldo è una delle mie commedie preferite – continua Abadi – quindi mi sono ispirata a lui e al suo metodo di lavoro. Lui girava una scena e poi diceva ‘quanti secondi è durata?’, e se era troppo lunga la faceva rifare. Così ho fatto io, volevo che il film durasse 90 minuti e in quel tempo esprimesse tutto il mio pensiero”.
Tra il serio ed il faceto in effetti arriva allo spettatore un lavoro enorme di condensazione e concentrazione che ha fatto la regista partendo sia dalle sue storie personali sia da episodi che sono realmente accaduti a persone a lei vicine. Un lavoro difficilissimo quello di integrare usi e culture diversi, di accettare le sfide religiose e di andare all’origine della vera parola del Profeta così come scritta nel Corano, una sintesi enorme che alla fine è sembrata semplicissima. Il film ha una grazia e una profondità non comuni, soprattutto ha il grande merito di ricordarci che per amore e solo per amore, possiamo cambiare, affrontare ogni sfida e vincerla, scendere in terreni che potevano sembrarci assurdi ed andare alla radice della comprensione del genere umano.