Qualcosa è cambiato nel cinema europeo d’autore. Se un tempo le grandi battaglie creative si combattevano sul terreno politico o sociale, oggi il fronte si è spostato dentro le case, nei ricordi, nei vuoti lasciati dalle generazioni che ci hanno preceduto.
È in questa dimensione intima e collettiva insieme che si muove Carla Simón, la regista catalana che con Alcarràs ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino e che ora torna con Romería, presentato ad Alice nella Città, sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma.
A Roma, Simón ha ricevuto il Womenlands Excellence Award, riconoscimento dedicato alle eccellenze femminili della cultura e dell’arte.
Ha ricevuto un premio importante. Cosa significa per lei?
Sono molto felice per questo riconoscimento. Per me tornare a Roma è come chiudere un cerchio. Quattro anni fa ero qui per montare Alcarràs, che era una coproduzione italiana, ma non potei essere presente alla sua uscita perché stavo per partorire.
Presentare Romería adesso significa tornare con un film che nasce da un’altra parte della mia vita, più personale, più intima.
Ha detto che in tutti i suoi film cerchi di raccontare la sua infanzia per non perderla. Quanto di quella bambina c’è in Romería?
Tantissimo. In ogni film cerco di recuperare un frammento del mio passato. Romería nasce proprio dal desiderio di capire la storia dei miei genitori, entrambi morti quando ero bambina. È come se cercassi di guardarli da adulta, di immaginare chi fossero davvero.
Marina, la protagonista, è un po’ la mia proiezione: anche lei viaggia per scoprire la verità, anche lei cerca di dare un senso a un silenzio troppo lungo.
E quel silenzio è uno dei temi centrali del film. Come lo ha tradotto in immagini?
Il silenzio, nel film, non è solo assenza di parole: è una presenza costante.
Viene dai tabù, dallo stigma, dal dolore. Le famiglie smettono di parlare, i ricordi si deformano. Io volevo raccontare come ci si sente quando quel silenzio ti cresce dentro. Marina non cerca di giudicare i suoi genitori, ma di capire. È un modo per liberarsi da un’eredità invisibile.
Romería è anche un film su una generazione: quella degli anni Ottanta, segnata dalla libertà ma anche dall’AIDS e dall’eroina.
Sì, è la generazione dei miei genitori. Una generazione piena di entusiasmo, ma anche di ferite. Sono cresciuti durante la dittatura di Franco, poi improvvisamente si sono trovati in un mondo libero. È stato un momento di gioia, ma anche di confusione.
In Spagna, negli anni Ottanta, molti giovani sono morti. Non se ne parla molto: ci sono ancora tabù, vergogna, silenzi. Con questo film volevo restituire dignità a quelle vite, ricordare chi sono stati davvero.
I suoi film – da Estate 1993 a Alcarràs, fino a Romería – hanno sempre un legame fortissimo con la memoria e la famiglia. È il suo modo di fare cinema?
Credo di sì. Il mio cinema nasce sempre da qualcosa che conosco profondamente.
Quando dirigo, non mi sento persa nel silenzio dei miei personaggi, ma ne percepisco la frustrazione. Romería è nato da quella sensazione: non poter conoscere tutto del proprio passato, ma volerlo abbracciare lo stesso.
È un modo per riconciliarmi con la mia storia e con la mia infanzia.
Ha ricevuto il Womenlands Excellence Award anche per il suo contributo al cinema femminile. Come vede oggi la presenza delle donne nel settore?
È un buon momento per le registe. Quando ho iniziato era difficile trovare modelli femminili, oggi invece ce ne sono molte, e ci sosteniamo a vicenda.
In Spagna il governo ha introdotto politiche che favoriscono i progetti diretti da donne, ed è un passo importante. Ma non basta: la vera parità arriverà quando le nostre storie non saranno più etichettate come “femminili”, ma semplicemente come cinema
E adesso? Ha già un nuovo progetto in mente?
Sì! Il mio prossimo film sarà un musical flamenco. Voglio lavorare sul corpo, sul ritmo, sul movimento. Cambia il linguaggio, ma non il mio sguardo: racconterò ancora la memoria, solo in modo diverso. È sempre quello il punto da cui parto.
Se dovessi definire Romería con una sola immagine?
Alla fine della scena del ballo, quando vediamo i fantasmi in quella piazza, dopo che hanno danzato insieme negli anni Ottanta. È un momento in cui il passato e il presente si toccano, e per me rappresenta tutto il film: un atto d’amore verso chi non c’è più
Un film come atto di memoria
Romería è per i miei genitori e per la loro generazione. Persone che hanno cambiato la Spagna, che ci hanno reso ciò che siamo oggi. Celebrare la loro memoria significa non permettere al silenzio di cancellarli di nuovo