Alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato presentato Brunori Sas – Il tempo delle noci, il documentario di Giacomo Triglia dedicato a Dario Brunori, anima inquieta e ironica della canzone d’autore contemporanea.
Un racconto che parte dal fare musica, ma finisce per parlare di vita: quella di un artista che si interroga, che rallenta, che accetta di perdersi per ritrovarsi. Nel documentario si respira la stessa sospensione che attraversa le sue canzoni: il desiderio di comprensione, la paura di non essere all’altezza, la curiosità infantile di chi continua a cercare un equilibrio tra arte e quotidianità.
Brunori ha parlato del “tempo delle noci” come del momento in cui le cose devono maturare da sole, con la pazienza di chi accetta che non tutto può essere controllato. Ha descritto la propria terra, la Calabria, come un luogo di fermentazione naturale — non una zavorra, ma un’energia che dà senso e identità. Si definisce un “vitigno autoctono”: radicato, ma non immobile.
Il documentario è anche una riflessione sulla paternità, arrivata da poco nella sua vita. Diventare padre, spiega, lo ha costretto a ripensare ritmi e priorità, a lasciare spazio a un tempo più semplice e concreto, fatto di piccoli gesti. In questa nuova dimensione scopre una creatività diversa, più calma ma non meno intensa.
Non mancano i momenti di ironia: Brunori si racconta come un uomo “logico ma bisognoso di caos”, un equilibrista che trova nell’imperfezione il proprio centro. La musica, dice, nasce proprio da quell’attrito tra ordine e disordine, tra la voglia di capire e la necessità di lasciarsi andare.
In controluce affiora anche la dimensione civile. L’artista riflette sul bisogno di tornare a essere presenti, non solo virtualmente, ma con i corpi, nelle piazze, nelle relazioni. Il mondo, suggerisce, ha bisogno di voci autentiche, non sempre accomodanti ma vere, capaci di smuovere e non soltanto intrattenere.
Il tempo delle noci diventa così il ritratto di un uomo che si concede il lusso di rallentare per ritrovare la propria voce. Un film che non celebra, ma accompagna: nel silenzio, nelle pause, nelle incertezze.
Brunori ne esce come un artista che ha scelto la misura dell’attesa e la forza della fragilità. Perché, come insegna la sua musica, a volte il tempo migliore non è quello che corre, ma quello che ci permette di respirare.