Nell’autunno del 2025, cinquant’anni dopo la serie Rai che lo aveva trasformato in leggenda televisiva, Sandokan torna a solcare i mari. Non come semplice eroe d’avventura, ma come specchio di un mondo in cambiamento. Alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Freestyle, il pubblico ha visto per la prima volta la nuova serie evento prodotta da Lux Vide (gruppo Fremantle) in collaborazione con Rai Fiction.
Dietro la macchina da presa Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo, davanti alla camera Can Yaman, volto e corpo del nuovo pirata malese, affiancato da Alanah Bloor, Alessandro Preziosi, Ed Westwick, Madeleine Price e John Hannah.

La produzione ha il respiro delle grandi epopee internazionali: un viaggio che parte dai teatri di posa di Formello e arriva fino all’isola di Réunion, passando per Lazio, Toscana e Calabria, dove è stata ricostruita Labuan, la colonia inglese del romanzo. Un’operazione ambiziosa, ma anche viscerale: una sfida a riportare in vita la materia incandescente di Salgari con il linguaggio di oggi.
Siamo nel 1841, a Borneo. Un arcipelago diviso tra colonizzatori e popoli in cerca di libertà. In mezzo a tutto questo c’è Sandokan, pirata senza patria e senza padroni, che vive secondo una sola regola: quella del mare. Al suo fianco Yanez de Gomera, il compagno di sempre, e una ciurma di uomini venuti “dai quattro angoli del mondo”.
Durante un arrembaggio, Sandokan libera un prigioniero del popolo Dayak. L’uomo lo riconosce come il guerriero di un’antica profezia. Il pirata ride, non crede ai destini scritti — ma quella profezia lo sta già inseguendo.
Poco dopo, in una notte di pioggia a Labuan, entra nel palazzo del Console britannico e incontra Marianna Guillonk, la Perla di Labuan: figlia ribelle dell’impero, spirito libero intrappolato nella gabbia vittoriana.
Da quell’incontro nasce un amore proibito, impossibile, ma destinato a cambiare entrambi.
A ostacolarli c’è Lord James Brooke (Ed Westwick), il “cacciatore di pirati”: un uomo affascinante, ambizioso, e troppo intelligente per non sapere di essere anche pericoloso.
Da questo triangolo nasce un racconto che parla di amore e potere, libertà e destino, ambientato tra giungle tropicali e acque insidiose. Sandokan dovrà scegliere se restare fuorilegge o diventare simbolo.
“Salgari è la nostra grande tradizione avventurosa”, dice Alessandro Sermoneta, uno degli autori. “Ma era tempo di farla respirare di nuovo. Oggi i personaggi femminili non sono più figure d’attesa. Marianna sceglie, agisce, lotta. E Sandokan non è più solo un pirata romantico: è un uomo in crisi, che scopre che la vera libertà non è fuggire, ma restare.”
Lontano dal museo della nostalgia, la serie si muove tra fedeltà e reinvenzione. Michelini e Abbatangelo hanno costruito un impianto visivo imponente — con set fisici, location reali e tecnologia LED a 360°, una prima volta in Europa per una produzione seriale di questo tipo.
“Non volevamo rifare il passato,” raccontano, “ma riaccendere il mito. Sandokan oggi non è un ricordo: è un modo di guardare il mondo.”

Per Can Yaman, che da anni sognava di interpretare il personaggio, Sandokan è diventato un viaggio personale. “All’inizio pensavo fosse una prova fisica: la spada, le acrobazie, la potenza. Poi ho capito che Sandokan è soprattutto un uomo che deve fare pace con se stesso. In ogni episodio cambia, si trasforma. Impara a fidarsi, a perdonare. È un personaggio che abbraccia le differenze, un eroe che cresce. Interpretarlo è stato come attraversare un romanzo d’avventura dentro la mia stessa vita”.
Alanah Bloor, che interpreta Marianna, racconta la sfida di portare sullo schermo un’eroina d’altri tempi con sensibilità contemporanea: “Marianna vive in un mondo che la vuole silenziosa. Ma non lo è. È curiosa, testarda, e cerca la verità. Darle voce è stato come restituire libertà a tutte le donne di quell’epoca. La forza non è moderna: è eterna”.
E Ed Westwick, che dà volto a Lord Brooke, aggiunge con un mezzo sorriso: “Brooke è un uomo che ha tutto, ma dentro è vuoto. È ambizioso, brillante, ma fragile. Non volevo farne un cattivo: è uno di quelli che combattono i mostri fuori per non vedere quelli dentro”.
Sandokan non è solo una serie d’avventura. È un mito che cambia pelle, una riflessione sul potere, sull’amore, sull’identità. “Non volevamo solo intrattenere,” dice Michelini. “Volevamo parlare di libertà. Di quella esterna, ma anche di quella più difficile: quella da se stessi”.