Con la terza stagione di Petra (dall’8 ottobre su Sky Cinema e in streaming su NOW, due nuovi episodi Sky Original prodotti da Sky Studios e Cattleya), Paola Cortellesi torna sullo schermo con una protagonista che continua a indagare non solo nei labirinti della cronaca nera ma anche tra le pieghe della memoria, delle relazioni, del proprio passato.
«Io non vedevo l’ora di tornare» dice Cortellesi. «C’è qualcosa di speciale in questo set. Petra non combatte gli stereotipi, semplicemente non li vede. Per me è dieci passi avanti. Corre il rischio, e lo fa senza preoccuparsi delle conseguenze».
La novità è che questa volta Petra non vive più soltanto con il suo ragno. Ha scelto la convivenza con Marco (Francesco Colella) e i suoi tre figli. Un passaggio che sembra minimo, ma che è in realtà un terremoto: lo spazio domestico diventa per lei un campo minato, il silenzio a cui era abituata viene invaso, e la sua natura solitaria deve fare i conti con un’appartenenza imprevista.
Il ritmo della serie parte proprio da qui: una quotidianità quasi banale, fatta di stoviglie e intrusioni, che sembra rallentare l’azione per poi spingerla con più forza nelle indagini. Nel primo episodio, un omicidio con reliquia rubata la porta nei corridoi ombrosi di un convento, dove la Madre Superiora (Laura Marinoni) le restituisce un’immagine di vocazione e comunità che la disarma più delle pistole. Nel secondo, un caso mafioso a Palermo diventa l’occasione per affrontare un legame antico e mai chiuso, incarnato dal questore Luigi (Francesco Acquaroli): una ferita che Petra non aveva mai voluto nominare, ma che riaffiora con la forza di una verità non negoziabile.
«La ricerca dell’equilibrio tra indagine e vita privata — spiega la regista Maria Sole Tognazzi — è stata la parte più divertente e più difficile. Ogni stagione è come rivedere un’amica: pensi di conoscerla, e invece ti sorprende. Io cerco la mia felicità attraverso quella dei personaggi. Qui Petra cambia, Monte cambia, cambia il mondo intorno a loro».

Andrea Pennacchi (Monte) lo racconta con ironia: «Nell’anno di pausa mi facevo mandare insulti registrati da Maria Sole e Paola». Ma Monte resta l’altra metà della serie, il contrappeso che non resiste al magnetismo dell’ispettrice. Lui è vecchio stampo, lei rompe gli schemi; insieme funzionano proprio perché sono due metà che non combaciano mai del tutto.
Genova, ancora una volta, non è solo sfondo ma personaggio vivo: i vicoli, i bassi, i palazzi borghesi sono teatro e attore. Ma Palermo irrompe come deviazione luminosa, quasi una gita fuori sede, e con essa cambia il ritmo, il colore, l’aria stessa della serie.
«Ogni volta che affrontiamo Petra — dicono le sceneggiatrici Giulia Calenda e Ilaria Macchia — capiamo che i casi funzionano solo quando sono legati ai personaggi. Più c’è un nesso emotivo, più la storia diventa potente. Nel convento, per esempio, c’è il silenzio che a Petra manca».
E infatti Petra 3 lavora proprio su questo: il contrasto tra il silenzio e il rumore, tra la pausa e la corsa. La serie rallenta per osservare, poi accelera verso il conflitto, poi frena di nuovo. Un ritmo che non è mai uniforme, perché non lo è la vita della protagonista.
Cortellesi lo sintetizza con lucidità: «Io Petra non la lascerei mai. È un pezzo del mio cuore. Non compie rivoluzioni, ma ha una visione illuminata della vita. In un momento storico in cui siamo sommersi dal giudizio altrui, lei è una figura libera».