Nella penombra di una cucina romana, Marta guarda le tre ciotole disposte sul tavolo. Sembrano oggetti qualsiasi, eppure raccontano la sua vita: quello che resta, quello che si svuota, quello che non potrà più essere riempito. È in questa immagine semplice che Isabel Coixet ha trovato il cuore del suo nuovo film, Tre ciotole, tratto dall’ultimo libro di Michela Murgia, scomparsa nell’agosto 2023.
Murgia aveva scritto il romanzo come una raccolta di racconti intrecciati, un mosaico di voci. Coixet e lo sceneggiatore Enrico Audenino hanno scelto di concentrarsi su due figure: Marta (Alba Rohrwacher) e Antonio (Elio Germano), una coppia che si separa dopo un litigio banale. Lei si chiude in se stessa fino a scoprire una malattia che le cambia lo sguardo sul mondo. Lui, giovane chef in ascesa, si rifugia nel lavoro ma continua a sentire l’assenza di lei in ogni vicolo di Roma.
“Quello che mi ha appassionato della scrittura di Michela è la sua capacità di trovare poesia nei momenti più ordinari”, racconta Coixet. “Marta ha paura, è arrabbiata, ma continua a notare la luce che entra dalla finestra o il sapore di un gelato. È un modo di resistere, di non lasciarsi schiacciare”.
Il film si muove tra appartamenti silenziosi, cucine affollate e le piazze della capitale. Non c’è enfasi melodrammatica: le emozioni si leggono nei gesti minimi, negli sguardi, nei silenzi. Rohrwacher interpreta Marta come “un animale ferito che attraverso la difficoltà impara a guardare il mondo in modo più limpido”. Germano, per dare corpo ad Antonio, ha trascorso settimane in un ristorante romano: “Mi serviva per capire la concentrazione ossessiva di un cuoco. Antonio è distratto dalla carriera e perde di vista ciò che conta davvero. È un errore comune, profondamente umano”.
La loro intesa sul set è stata naturale, ma questa volta declinata nella distanza: “Con Elio ci conosciamo da anni – dice Rohrwacher – e lavorare insieme è sempre una forma di improvvisazione condivisa. Qui però i nostri personaggi sono lontani, e anche quella lontananza è diventata un dialogo”.
Il film alterna la durezza del presente alla leggerezza di brevi sequenze in super 8, girate senza copione, che mostrano i giorni felici della coppia. “Non erano previste”, spiega Germano. “Isabel ci chiedeva di viverle, non di recitarle. In quelle immagini c’è la verità dell’amore che è stato”.
Coixet non è nuova a raccontare la malattia e la fine della vita. Già vent’anni fa, con La mia vita senza me, aveva colpito il pubblico con la storia di una giovane madre malata terminale. Qui però lo sguardo è diverso: “Allora la protagonista costruiva un’eredità da lasciare. Marta invece non ha eredi, eppure riesce a trovare un modo di vivere proprio quando sembra non avere più nulla da perdere”, spiega la regista.
Prodotto da Cattleya insieme a partner italiani e spagnoli, Tre ciotole è un film corale che non rinuncia alla sobrietà. “Isabel era la regista ideale per raccontare questa storia”, dice Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya. “Sa unire intensità e leggerezza, ed era il tono giusto per il mondo di Michela Murgia”.
L’autrice sarda, scrittrice e intellettuale, è stata per vent’anni una voce centrale del dibattito pubblico italiano. Dal suo esordio con Il mondo deve sapere (2006), libro sul lavoro precario in un call center, fino al pamphlet politico Istruzioni per diventare fascisti (2018), Murgia ha alternato narrativa, saggi e interventi civili. Nei suoi ultimi mesi ha parlato apertamente della malattia, trasformando la propria esperienza in un gesto politico e in un invito alla libertà: vivere senza rimandare.
Coixet, che ha conosciuto i suoi scritti solo di recente, dice di essersi sentita “custode di un’eredità fragile e potente allo stesso tempo”. Rohrwacher racconta che durante le riprese “tutti sentivamo la responsabilità di entrare in punta di piedi nel mondo di Michela, di restituire la delicatezza dei suoi personaggi”.
Il film mostra la malattia senza retorica, l’amore finito senza melodramma, e la resilienza senza eroismi. Come nel libro, la vita viene raccontata attraverso piccoli oggetti quotidiani, come tre ciotole su un tavolo, che diventano simboli universali.
“Voglio che il pubblico esca dal cinema pensando che il momento per fare ciò che desidera è adesso”, dice Coixet. È lo stesso consiglio che Murgia aveva dato al Salone del libro di Torino, pochi mesi prima della morte: non aspettare di ammalarsi per vivere fino in fondo.
Dal 9 ottobre Tre ciotole è nelle sale italiane con Vision Distribution.