Non avevo grandi aspettative per FolleMente, l’ultimo film di Paolo Genovese, dopo i successi di Perfetti Sconosciuti e The Place, il regista torna con una commedia corale e un cast stellare: Con il suo cast stellare e il paragone con Inside Out a farne da preambolo, mi aspettavo una commedia dal tono leggero, una di quelle storie che vanno dritte al cuore e al sorriso, ma che, sotto la superficie, non dicono molto. I tanti attori di grido mi facevano pensare a una macchina da soldi ben oliata, piuttosto che a un’opera che avesse qualcosa di realmente nuovo da dire.
Ma c’è una cosa che devo subito confessare: purtroppo, mi sono trovato più in sintonia con la parte del film che forse dovevo ignorare. Il tutto si muove in una sfida tra emozioni, tra la razionalità e l’istinto, come se ogni personaggio dovesse rincorrere la sua verità in una continua lotta tra cuori e cervelli. Ecco, sono rimasta quasi sorpreso nel constatare che il film, pur con una narrazione apparentemente leggera, mi ha fatto riflettere su quanta complessità si nasconda dietro ogni singolo gesto umano, mascherato da una commedia spensierata.
Il film non è niente di rivoluzionario, non c’è da aspettarsi una ribaltamento del cinema italiano, ma FolleMente, nei cinema dal 20 febbraio, rispecchia un po’ quella tendenza moderna, dove il cinema sembra voler parlare di noi e dei nostri turbamenti psicologici attraverso il velo della leggerezza. Non parlo della leggerezza della trama, quella che racconta di un incontro tra Edoardo Leo e Pilar Fogliati, ma della leggerezza che vuole farti pensare che basti un sorriso e un gioco di parole per sistemare tutto. Una leggerezza che, da un lato, piace, ma che, dall’altro, lascia l’amaro in bocca.
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Genovese, forse consapevole della macchina da guerra che ha messo in piedi con un cast d’oro, non rinuncia a giocare con i clichè del primo appuntamento, ma lo fa con un tocco che non so se definire nostalgico o manipolatorio. Il film esplora il complesso universo interiore dei protagonisti durante un primo appuntamento. Le loro personalità si sfidano in una battaglia di emozioni, ma nulla di troppo profondo emerge, eppure c’è qualcosa di universale in quei piccoli gesti, nelle incertezze, nelle paure, nelle esitazioni. Forse è la stessa cosa che, in fin dei conti, rende tutto molto “digestibile” per il pubblico.
Certo, l’analisi dell’animo umano non è mai stata così semplice. Non basta una scenetta ben scritta per risolvere il conflitto interiore di chi è lì, seduto al tavolo, ma Genovese sembra dirci che bastano un po’ di battute taglienti e qualche emozione condivisa per rendere tutto un po’ più chiaro. L’idea che l’amore sia un gioco, una “partita a scacchi” come dice Edoardo Leo, è un concetto affascinante, ma è anche pericolosamente riduttivo. Eppure, il film funziona, almeno in parte. È popolare, è accessibile, e forse è questo che conta davvero oggi: accontentare senza troppe pretese.
Quindi sì, il film ti intrattiene, ma a me lascia la sensazione che stia cercando di vendermi una versione troppo levigata della realtà, un amore che è poco più di un gioco di superficie. In fondo, ciò che succede dentro quei cuori e menti è forse troppo complesso per essere spiegato in una commedia che corre veloce, senza mai fermarsi a riflettere davvero.