Una giovane donna che sale su un taxi giallo a New York. Il traffico caotico delle strade che portano dall’aeroporto JFK a Manhattan. I neon che illuminano insegne anonime, gli skyline corrono al ritmo delle chiacchiere distratte di due sconosciuti. Una città che non dorme mai, dove ogni viaggio, anche il più banale, può diventare un’esperienza unica.
Come nelle prime inquadrature di grandi film metropolitani – quelle che raccontano senza fretta l’ambiente, lasciando intravedere storie dietro ogni angolo – Una notte a New York, Daddio il titolo originale, è il bel debutto alla regia di Christy Hall, sceneggiatrice di It Ends With Us, ci introduce gradualmente alla sua narrazione. Un taxi, due personaggi e il silenzio della notte che si riempie poco a poco di confidenze, rivelazioni e quella strana intimità che nasce solo tra estranei.
Non siamo lontani dalle atmosfere statiche e ipnotiche di La parola ai giurati, o dall’intensità quasi teatrale di Locke. Sono quei film che sfruttano l’apparente immobilità per scavare nelle emozioni umane, dove i dialoghi diventano l’unico movimento reale, e ogni parola ha un peso che si fa sentire.
Il film potrebbe sembrare, a prima vista, una piccola storia urbana come tante. Una giovane donna, Girlie (Dakota Johnson), appena scesa da un volo proveniente dall’Oklahoma, sale su un taxi per tornare al suo appartamento. Alla guida c’è Clark (Sean Penn), un tassista di lunga data con un passato segnato e un atteggiamento scontroso ma diretto. Ciò che sorprende, forse, è che un film così intimo e minimalista, nato come pièce teatrale, abbia trovato una sua dimensione cinematografica senza perdere nulla della sua essenza originale. Hall dimostra una mano sicura nel dirigere due giganti del calibro di Sean Penn e Dakota Johnson.
L’intero racconto si svolge nell’abitacolo di un taxi, un luogo tanto claustrofobico quanto carico di possibilità narrative. Girlie e Clark non potrebbero essere più diversi. Lei, giovane e moderna, è abituata a muoversi in un mondo fatto di apparenze e connessioni digitali. Lui, invece, incarna una New York ormai in via d’estinzione, fatta di persone ruvide ma autentiche, che parlano senza filtri e non si nascondono dietro uno schermo.
La loro conversazione, inizialmente forzata, si trasforma in un dialogo sincero, in cui emergono paure, traumi e speranze. Clark, con il suo volto segnato dal tempo e una saggezza spigolosa, diventa per Girlie una sorta di confessore improvvisato. Lei, a sua volta, riesce a scalfire il cinismo dell’uomo, rivelando le sue fragilità. Come nei migliori racconti, il film si muove sul sottile confine tra realismo e poesia. Non ci sono grandi svolte narrative, ma una lenta costruzione di empatia, che coinvolge anche lo spettatore su argomenti di ogni genere.
Eppure, come accade con le cose semplici ma straordinariamente efficaci, Una notte a New York sembra destinato a dividere. In rete si trovano già opinioni contrastanti: c’è chi lo considera un piccolo gioiello e chi lo trova troppo statico, “invecchiato” ancora prima di uscire. Hall rende omaggio con riverenza, ma con una voce tutta sua, a un tipo di cinema fatto di dialoghi taglienti e silenzi prolungati che non si vede più spesso e a un’umanità che, forse, stiamo dimenticando.
E allora poco importa se qualcuno dirà che è un film “da festival” o che avrebbe dovuto rimanere nel suo formato teatrale originale. È un’occasione per lasciarsi sorprendere, per vedere Sean Penn e Dakota Johnson calarsi in due ruoli poco credibili ma che incarnano stereotipi per far esplodere emozioni. Una notte a New York, al cinema dal 19 dicembre, ci ricorda che le storie più semplici sono spesso le più universali. Una conversazione tra due sconosciuti, una città che scorre fuori dai finestrini e la certezza che, a volte, basta poco per raccontare tutto.