Con REAL, Adele Tulli non ci offre solo un film, ma una lente inquietante e affilata sul nostro tempo, sul mondo che si estende oltre la realtà fisica e si infila in ogni angolo delle nostre vite: il digitale. Dopo il successo alla prima mondiale del Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici, REAL mette in discussione la nostra idea stessa di “realtà”.
Tulli, con un tocco che alterna il poetico e il disturbante, ci guida attraverso uno specchio in cui il riflesso è quello delle nostre vite ormai interconnesse, immerse nei dispositivi, nelle piattaforme, nelle notifiche incessanti. Viviamo in un mondo digitale che è diventato un luogo in cui ci incontriamo, lavoriamo, ci amiamo, ci disperiamo. Ma in questo universo parallelo che si mescola alla nostra quotidianità, cosa stiamo perdendo? Cosa resta dell’esperienza umana?
REAL si apre in una città che, a prima vista, ci appare familiare. Ma, in un attimo, ci troviamo di fronte a volti che non sono più del tutto umani, città sorvegliate da telecamere, esistenze che si srotolano in case dove la presenza è catturata da occhi digitali. Qui, Tulli usa proprio quegli strumenti che fanno parte della nostra routine – webcam, visori, smartphone – per raccontare un mondo che ci appare alienante proprio perché è fin troppo vicino a ciò che viviamo ogni giorno.
Attraverso una fotografia precisa, quasi chirurgica, di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, e un montaggio frammentato di Ilaria Fraioli, REAL diventa una finestra verso il nostro stesso mondo. È un mondo di “avatar” reali: persone che, in un certo senso, hanno perso il loro senso autentico, perso tra schermi e pixel. Qui, l’esperienza quotidiana è allo stesso tempo normale e distorta, un déjà-vu che ci è familiare, eppure ci sfugge.
Incontriamo uomini e donne, avatar, robot, tutti protagonisti di vite che si svolgono su schermi e dietro account, che comunicano più attraverso bit che parole. Le relazioni sono mediate, e non importa se lo schermo è quello del cellulare, della TV o della videocamera di sorveglianza: siamo tutti, volenti o nolenti, nello stesso teatro digitale.
Questo mondo è popolato da figure che tentano disperatamente di “essere viste”, ma sono come fantasmi che si aggirano per le strade delle città moderne. C’è una profonda riflessione sociale in tutto questo: REAL suggerisce che il nostro desiderio di connessione, paradossalmente, ci lascia più soli che mai. La tecnologia, anziché avvicinarci, crea barriere che isolano, e la ricerca di visibilità si trasforma in un bisogno quasi compulsivo di conferma, di una sorta di validazione continua.
REAL ci invita a riflettere sul nostro rapporto con la tecnologia. È un rapporto ambiguo, che può arricchire e privare al tempo stesso. Le immagini mostrano individui che, pur circondati da altri, sembrano sempre soli, in preda a un’angoscia esistenziale che cresce quanto più si affidano ai dispositivi digitali per sentirsi vivi. Cosa perdiamo quando ci isoliamo dietro uno schermo? E fino a che punto possiamo accettare di vivere metà della nostra vita nella virtualità senza che ciò comprometta la nostra capacità di essere pienamente umani?
Se REAL fa emergere qualcosa, è la consapevolezza che dobbiamo recuperare la capacità di fermarci, di ascoltare davvero, di sentirci l’un l’altro. È una riflessione su un mondo che, in corsa verso il futuro, rischia di lasciare indietro ciò che rende preziosa l’esperienza umana: la vicinanza, il calore, la vulnerabilità del contatto.