In concorso alla Festa del Cinema di Roma, L’Isola degli idealisti di Elisabetta Sgarbi, è tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco. È una notte fredda di gennaio. Beatrice Navi e Guido Cenere, (Elena Radonicich e Renato De Simone), due giovani ladri in fuga, sbarcano su un’isola misteriosa, braccati non solo dalla legge, ma anche dalle proprie inquietudini interiori. Ad accoglierli, o forse sarebbe meglio dire a imprigionarli in un destino che non potevano prevedere, sono Giovanni Marengadi, il burbero guardiano, e Pangloss, il dobermann dal nome ironico che sembra uscire da un trattato di filosofia. Un cane che osserva, immobile, come se fosse un monumento alla saggezza o alla stupidità umana.
Beatrice e Guido vengono condotti al cospetto dei Reffi, una famiglia eccentrica che vive in una sontuosa villa conosciuta come “Villa delle Ginestre”. Una villa che, più che un luogo, sembra un rifugio, un limbo sospeso tra la realtà e l’immaginazione. Qui, il tempo scorre in modo diverso, sussurrando segreti e riflessioni tra le mura antiche adornate da opere d’arte senza tempo.
La trama fluttua tra il reale e il surreale, tra la legge e il caos, tra l’azione e la contemplazione. I due mondi, quello dei ladri e quello degli idealisti, si scontrano e si fondono in una sinfonia di dialoghi taglienti e riflessioni filosofiche.
Il dialogo iniziale tra Beatrice e Guido è carico di una tensione intima. Beatrice, ladra disincantata, risponde a Guido, che ancora si aggrappa all’illusione di poter distinguere tra il bene e il male: “Perché lei non è una ladra. Lei ruba. La legge non fa distinzioni. Io sì.” Ma la risposta di lei è altrettanto lapidaria, tagliente come il filo di un rasoio: “Io sono una ladra. E lei è un illuso.” Qui si delinea subito la differenza tra chi si è arreso alla vita e chi, ancora, cerca di darle un senso. È solo l’inizio di un confronto tra due anime che scopriranno presto quanto sia labile il confine tra giusto e sbagliato, tra idealismo e pragmatismo.
Nella villa dei Reffi, tutto è simbolo. Il capofamiglia Antonio (Renato Carpentieri) è un ex direttore d’orchestra, ora spettatore ironico delle vite che lo circondano, in particolare di quelle dei suoi figli. Carla, Michela Cescon, scrittrice di successo, attende una risposta dall’editore che non arriva mai, e sembra vivere in un perenne stato di attesa, di sospensione tra la creazione e la frustrazione. Celestino, Tommaso Ragni, ex medico ossessionato dal passato, con la sua passione per la filosofia e la matematica, tenta di decifrare la realtà come fosse un teorema. Ma il suo amore perduto, quella violinista che vive solo nelle sgranate immagini in super otto, lo lega a un passato che non può cambiare.
È Celestino che propone un patto ai due ladri: non li denuncerà e li nasconderà dal Commissario Càrrua, ma in cambio, dovranno sottoporsi a una sorta di “corso di educazione”. Perché Celestino è convinto di poter cambiare la vita dei due giovani, come se fossero un esperimento filosofico. Ma in realtà, saranno proprio Beatrice e Guido a sconvolgere gli equilibri di questa famiglia, dove le apparenze contano più della verità.
I due giovani, in fuga dalla legge, portano con sé una ventata di caos in un microcosmo che si credeva perfetto, ma che in realtà è già in bilico. E mentre la villa inizia a stringersi intorno a loro, come una trappola invisibile, i Reffi scendono lentamente i gradini, avvolgendoli in un abbraccio fatale. Un abbraccio che non lascia via di fuga.
L’ironia tagliente e la follia sottile di Antonio, Carla e Celestino si mescolano a una disperazione nascosta. La normalità e la follia, l’osservanza e la trasgressione si fondono in una danza macabra che coinvolge tutti, anche lo spettatore. E mentre il Commissario Càrrua si avvicina sempre più all’isola, la tensione cresce, non tanto per la paura di essere catturati, ma per l’incapacità di sfuggire alle proprie ossessioni.
Il film, come la villa, è un’opera d’arte sospesa nel tempo. Le citazioni letterarie e filosofiche si intrecciano ai dialoghi quotidiani, creando un linguaggio che appare, a tratti, artificiale. Ma è proprio questo il punto: i Reffi non vivono nel mondo reale. La loro realtà è un’idea, un teorema, una rappresentazione distorta di ciò che avviene fuori dall’isola.
E in questo gioco di specchi e riflessi, Beatrice e Guido diventano i catalizzatori del cambiamento. Sono loro a rompere l’equilibrio, a svelare l’artificio, a portare il caos in una vita che, finora, era rimasta immobile come un quadro appeso alla parete. Ma, alla fine, chi cambia chi? Chi è davvero il ladro, chi ruba e chi illude?