La trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival continua a tessere una trama affascinante che unisce arte, storia e innovazione. Dopo un’opening week che ha abbracciato tre dei luoghi più iconici della capitale – il Teatro Costanzi, l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone e l’Auditorium Conciliazione – il festival si immerge nella sua terza settimana, portando al Mattatoio una programmazione di altissimo livello, grazie alla collaborazione con l’Azienda Speciale Palaexpo. Ed è qui che prende vita un fine settimana all’insegna del teatro contemporaneo internazionale: Berlin.
La compagnia fiamminga arriva a Roma con due creazioni inedite che ruotano intorno ad gioco sottile tra ciò che è vero e ciò che potrebbe esserlo. Berlin sa camminare sul filo della storia e dell’immaginazione, quello spazio dove i frammenti di vita personale si dilatano fino a diventare specchio del mondo intero.
Il primo spettacolo in cartellone, The Making of Berlin, in programma il 21 e 22 settembre, è un viaggio tra musica, memoria e narrazione storica. Al centro di questa produzione c’è la figura di Friedrich Mohr, direttore di scena della Berliner Philharmoniker durante la Seconda Guerra Mondiale. Mohr aveva un sogno: eseguire, come ultimo atto di una carriera segnata dal conflitto, la Marcia funebre di Sigfrido dal Götterdämmerung di Wagner. Tuttavia, il sogno rimase incompiuto, spezzato dalla guerra e dagli eventi che seguirono. Berlin decide di completare questa storia, intrecciando testimonianze storiche, materiali d’archivio e una potente componente audiovisiva.
Ma la storia di Mohr non è quella di un eroe ma di chi non oppose resistenza quando i suoi amici e colleghi ebrei furono espulsi dall’orchestra. Questa mancanza di coraggio morale diventa il nucleo attorno al quale si sviluppa lo spettacolo. La produzione, che vede la partecipazione dell’Orchestra dell’Opera e del Balletto Fiammingo, della radio belga Klara e dell’attore tedesco Martin Wuttke (noto al grande pubblico per il suo ruolo in Inglourious Basterds di Tarantino), porta sul palco una riflessione complessa sul significato della storia e su come essa venga ricordata o manipolata. Ogni tentativo di ricostruzione diventa una riflessione sulla difficoltà di rimediare agli errori del passato.
A completare il programma del fine settimana, Berlin presenta Zvizdal – Chernobyl So Far So Close, una creazione che si colloca a metà strada tra il documentario e l’installazione artistica. Questo progetto, nato da un incredibile lavoro di ricerca durato cinque anni, racconta la storia di Pétro e Nadia, due anziani che, a differenza di tutti gli altri abitanti della zona, non hanno mai lasciato la loro casa nella città di Zvizdal, vicino a Chernobyl, nonostante il disastro nucleare del 1986.
L’immagine di questi due ottantenni, rimasti soli in una terra desolata e invasa dalle radiazioni, è una potente metafora della resistenza umana. Tra paesaggi spettrali e natura che lentamente riconquista gli spazi abbandonati dall’uomo, la storia di Pétro e Nadia è un racconto di sopravvivenza, amore e speranza.
La creazione di Zvizdal non è solo una riflessione sulle conseguenze di un disastro nucleare, ma anche un affondo poetico nella condizione umana. Il loro mondo, immerso in un silenzio rotto solo dai suoni della natura e dalle parole scambiate tra i due coniugi, appare come una sospensione del tempo, un microcosmo in cui amore e dolore coesistono in un fragile equilibrio.