È un film sul coraggio delle madri nel percorso di adozione di un figlio, Vakhim, che porta il nome di questo bambino. Coraggio e amore da parte della madre che è costretta dalle proprie condizioni a dare in adozione la propria creatura. Coraggio e amore da parte della madre che consente al proprio figlio adottivo di conservare i propri legami con la propria storia originaria e la propria madre e a farne un film. Il film documentario Vakhim di Francesca Pirani è stato presentato oggi 5 settembre alle Notti Veneziane, spazio off delle Giornate degli Autori, in collaborazione con Isola Edipo, durante la 81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Il tesoro dei filmati di famiglia
La cifra che connota Vakhim, prodotto da Luca Criscenti per Land Comunicazioni in collaborazione con Valeria Adilardi, è l’armoniosa commistione della narrazione reale, attraverso il protagonismo dei diretti interessati, con la narrazione sentimentale e fittizia dei ricordi d’infanzia interpretata da attori non professionisti cambogiani. La vicenda viene ricostruita a partire dai filmati di famiglia, un tesoro documentale, realizzati con la videocamera fin dai giorni decisivi dell’adozione del bambino di quattro anni nel 2008 in Cambogia da parte dei genitori italiani, la regista Francesca Pirani e il marito Simone Borra.
Un ambientamento docile
La crescita di Vakhim, bambino assai dolce, nella casa di Roma, viene seguita e scrutata passo passo dalle riprese e dal racconto e voce narrante della sua mamma. Vediamo il suo docile ambientamento, la sua gioia di vivere, la scuola materna, il suo muoversi con allegria nudo in casa, uno dei segnali della presenza interiore della sua vita precedente. Dopo quattro mesi inizia a dire le prime parole in italiano. La sua lingua madre scompare piano piano, ma resta la sua intima consapevolezza che sua madre e il suo paese originario sono altrove. Chiama la mamma italiana “mamma”, ma sa che la sua “mamma” è al villaggio. È evidente che qui c’è una vita piena di tutto ed è un tentativo in corso ogni giorno, là c’era una vita vuota di tutto, ma era già casa.
Un dolore che resta dentro
Il distacco e il vissuto cambogiani non mancano di rimandare, nel tempo, segnali di un dolore che è esistito e che resta dentro. Emerge che Vakhim non era figlio unico, ma uno tra quattro, tutti dati in adozione, tutti in Italia. Mamma Francesca non si tira indietro e riesce a riallacciare i rapporti con Maklin, la sorella maggiore di Vakhim: la famiglia si allarga alle famiglie. Il rapporto tra fratelli si fa frequente, si consolida. Il passato non passa, è fermo al suo tempo, eppure c’è, esiste con noi, si trasforma. Questo aspetto viene rappresentato fin dall’inizio con la messa in scena poetica, come in un sogno, di un ricordo ricorrente, i bambini insieme alla madre nella foresta cambogiana, quasi in fuga, in un ambiente naturale, famigliare.
Il ritorno dopo 15 anni
Le riprese cambogiane sono state realizzate ex novo nel 2023, dalla regista con la troupe, quando con il marito, il figlio Vakhim e Maklin sono tornati in Cambogia, dopo 15 anni, per incontrare la madre naturale, la signora Yon Neang. Quindici anni di crescita, di vita, di interrogativi sul senso e l’opportunità di tornare a incontrare il passato. Anni di tentativi archiviati o falliti, con profondo sconforto di Maklin, che ha portato avanti negli anni la memoria, i ricordi, i dolori anche per conto del fratello. Anni in cui è emerso anche lo scandalo delle adozioni cambogiane, con le madri biologiche escluse da ogni contatto, elemento che fa scattare un istinto di protezione da parte della famiglia italiana. Finché, anni dopo, i ragazzi non hanno deciso che fosse ora di tornare alla ricerca della madre cambogiana di cui si erano perse le tracce anni prima, e Francesca è stata della partita.
La realtà e il linguaggio della memoria
“Il viaggio di ritorno nella zona d’origine, il rapporto con i bambini e i contadini che interpretano i ricordi di Vakhim e di sua sorella Maklin, le loro emozioni nel ritrovarsi in quel mondo, l’incontro con la madre naturale, sono caratterizzati da un linguaggio visivo che alterna al realismo del tempo presente quello più libero della memoria. Per questa ragione ho utilizzato linguaggi visivi differenti, a cui corrispondono anche mezzi tecnici di ripresa diversi” spiega la regista.
L’emozione dell’incontro
Il ritorno in Cambogia di Vakhim e Maklin, ormai adulti, nella duplice e consapevole veste di protagonisti e attori, è una tempesta di emozioni. Si trovano a essere come fratelli maggiori o educatori di un nugolo di bambini piccoli e gioiosi del villaggio che li rapiscono nel giocare insieme. Ormai perfettamente occidentalizzati, Vakhim e Maklin si lasciano completamente coinvolgere e appassionare, riuscendo a preservare quanto di buono di quel mondo antico sia rimasto loro dentro. E questo combacia sicuramente con l’amore di una madre, che dopo diversi tentativi ritrovano. L’incontro è straziante di emozione ed è per lei un pianto che dura ore. Tra i singhiozzi racconta la sua nostalgia di loro, rammenta la fuga dal marito e padre violento, ripete più volte di non averli abbandonati, ma di essere stata costretta da una vita di stenti che non avrebbe permesso loro la vita che invece hanno avuto. Il presente non ha la forma del passato o dei ricordi, ma i due fratelli le sorridono, la abbracciano, la consolano. Rientrati in Italia, il contatto tra i due ragazzi e Yon è rimasto vivo, le loro vite continuano in mondi diversi, ma sono riallacciate.
Un film coraggioso e irripetibile, quello di Francesca Pirani, poliedrica regista e sceneggiatrice che ha iniziato la sua carriera collaborando con il maestro Marco Bellocchio. Un film che, nel raccontare la complessità del crescere di Vakhim, interroga sul significato profondo dell’essere famiglia e sulla possibilità dell’amore di aprirsi e di farsi accogliente per l’imprevisto.