Tim Burton torna dietro la macchina da presa con Beetlejuice Beetlejuice, un film che segna non solo un ritorno alle sue radici creative, ma anche una profonda riflessione personale sul significato del cinema nella sua vita. Dopo un periodo di disillusione verso l’industria cinematografica, Burton ha scelto di realizzare questo sequel non per inseguire il successo commerciale, ma per ritrovare quella scintilla artistica che aveva caratterizzato i suoi primi lavori. “Se dovevo fare un altro film, volevo che venisse dal cuore”, ha dichiarato il regista, un’affermazione che suggerisce un ritorno a un cinema più intimo e autentico, libero dalle pressioni del mercato.
La decisione di non riguardare il primo film del 1988 prima di lavorare su questo nuovo capitolo è emblematica del desiderio di Burton di distanziarsi da una ripetizione sterile e di creare qualcosa che, pur mantenendo lo spirito dell’originale, potesse risuonare in modo nuovo e personale. A 35 anni di distanza, Beetlejuice Beetlejuice non è solo un sequel, ma un’opera che riflette la maturazione del regista e la sua evoluzione artistica. Presentare questo film alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia, un evento a cui Burton è profondamente legato, non è solo un omaggio alla sua carriera, ma anche un atto di riconciliazione con il cinema stesso.
Una delle riflessioni più interessanti che emergono dal progetto è l’importanza della memoria e della nostalgia nel processo creativo. Burton ha scelto di riportare in vita personaggi iconici come Lydia Deetz, interpretata da Winona Ryder, e Beetlejuice, interpretato da Michael Keaton, ma lo ha fatto in un contesto completamente nuovo, circondato da un cast che include sia vecchie conoscenze come Catherine O’Hara, sia nuovi talenti come Jenna Ortega, Monica Bellucci, Justin Theroux e Willem Dafoe. Questa combinazione di passato e presente, di memoria e innovazione, permette a Burton di esplorare temi universali come il lutto, la famiglia e la morte, con una sensibilità che solo l’esperienza di una vita può offrire.
Il ritorno di Burton alla trama di Beetlejuice è stato in parte ispirato dalla sua esperienza con la serie Wednesday-Mercoledì, durante la quale ha scoperto il talento di Jenna Ortega e ha concepito il personaggio di Delores, interpretato da Monica Bellucci. Bellucci non è solo una nuova aggiunta al cast, ma anche una presenza importante nella vita personale del regista, una dinamica che aggiunge ulteriore profondità al film. La loro collaborazione rappresenta un incontro tra culture e stili diversi, unendo il gotico americano di Burton con il fascino europeo di Bellucci.
Il film, che racconta la storia di Lydia Deetz, ora una celebrità televisiva specializzata in storie di spiriti, offre una riflessione profonda sui nostri rapporti con i morti e con i vivi. Attraverso un viaggio emozionale che tocca il dolore, la vendetta, il matrimonio e la ricerca di una figlia scomparsa, Burton ci invita a confrontarci con le nostre paure più profonde e le nostre relazioni più complesse. La tecnologia degli effetti speciali, che oggi permette di realizzare visioni straordinarie, è utilizzata non solo per stupire, ma per dare forma a un mondo in cui il confine tra realtà e fantasia è labile, riflettendo così la complessità delle nostre emozioni.
Una delle scene più memorabili e satiriche del film è quella in cui un gruppo di influencer, ossessionati dai loro smartphone, si trova a documentare il matrimonio tra Lydia e Rory. In un colpo di genio visivo, Burton trasforma questi personaggi in moderne versioni di Pinocchio, con nasi che crescono e telefoni che diventano strumenti di auto-distruzione. Questa sequenza non è solo un momento di puro divertimento, ma una critica acuta alla superficialità e all’autocompiacimento della società contemporanea, che spesso sacrifica la realtà per la ricerca di un’immagine perfetta e digitale.
Alla domanda su un possibile sequel, Burton ha risposto con ironia, affermando che ci sono voluti 35 anni per realizzare questo film, e che per il prossimo potrebbe averne cento. Tuttavia, dietro questa battuta, si cela una riflessione più profonda sulla natura del tempo e della creatività. Con l’età, le prospettive cambiano, e ciò che un tempo sembrava chiaro può diventare confuso. Ma è proprio in questo smarrimento che Burton ha trovato nuova energia, riscoprendo la gioia di fare cinema e la bellezza di lavorare con persone che condividevano la sua visione.
In definitiva, Beetlejuice Beetlejuice è molto più di un semplice sequel. È un film che riesce a bilanciare nostalgia e innovazione, offrendo un’esperienza cinematografica che è allo stesso tempo divertente, profonda e riflessiva. Con questa opera, Tim Burton non solo riconferma il suo talento, ma dimostra anche una capacità rara di evolversi senza perdere la propria essenza, creando un film che parla al cuore di chi ama il cinema.