A Venezia80, Matteo Garrone si candida a vincere il Leone D’oro con Io, Capitano. Un film di Garrone in piena regola con i temi più cari al regista romano. Il realismo magico visto in “Lo Cunto de li cunti”, l’emarginazione di “Terra di mezzo” e “Dogman” e la storia nella Storia, come in “Gomorra”. L’epopea dei due giovani protagonisti di “Io capitano”, Seydou e Moussa, si può raccontare prendendo spunto dall’Eneide di Virgilio, dall’Odissea di Ulisse, dal mito greco in generale anche di Orfeo e finanche da Pinocchio, altro film di Garrone.
Con Io, Capitano, Garrone realizza un lavoro di grande maturità
La storia è il punto di partenza per raccontare quello che è il viaggio della vita, un’esplorazione continua e costante dentro l’ignoto, il dolore e l’imprevisto dove ci salva, solo se sapremo riconoscerla, l’umanità.
Il punto di vista di Garrone è quello di andare alle radici, scegliendo di narrare senza giudizio, una storia di ragazzi che, come tanti sognano l’Europa vista alla
tivù o nei video di YouTube.
Due giovani che mettono via i soldi con lavoretti saltuari perchè troppo poveri per viaggiare in altro modo, ma ricchi di valori insegnatigli da una madre consapevole e amorevole. Hanno un villaggio dentro e dietro che ha insegnato loro durezze e umanità, non stanno male ma sognano qualcosa di meglio. Un po’ ingenuamente, ma comprensibilmente. Una sorta di Grillo parlante li avverte di non partire, un altro insegna loro come non farsi fregare. consigli che troveranno il tempo che trovano perché i due dovranno affrontare tutti i gironi di un inferno dantesco prima di riuscire a mettersi sopra una barca e partire. Torture, perdite, dolori e umiliazioni ma anche la solidarietà delle comunità.
In Io, Capitano, Garrone ci mostra quanto possa fare schifo l’uomo ma anche quanto possa essere empatico quando vuole. Seydou in particolare è una roccia di umanità, in ogni circostanza. Anche quando crolla.
Ed è così che vive la vita lui, solidale empatico e responsabile, mentre attraversa il Mediterraneo lotta perché nessuno nella sua barca muoia, lo urla alla notte e all’aria ogni 10 minuti, sconvolto e sfinito. E quando l’elicottero italiano intercetta la carretta piena di uomini ormai ridotti ai minimi termini, il suo urlo al cielo, “io capitano, moi capitain” ci fa finalmente piangere di gioia e tristezza. Perché sappiamo bene che ora di viaggio ne inizia un altro e sarà tremendo. Anche questo. Purtroppo.