“Il ritorno di Bob Dylan: Poesia e musica nel cuore di Roma”
Bob Dylan non appartiene a questo mondo. Poesia, blues e rock’n’roll si consumano in un’ora e quaranta minuti. A cinque anni dall’ultima volta chiude all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nella imponente Sala Santa Cecilia (sold out da mesi), un lungo tour in cui sono vietate riprese, foto e cellulari in sala. Zittisce il pubblico dell’Auditorium di Roma vietando smartphone e altri apparecchi elettronici. A rendere l’atmosfera da club – senza il fumo delle sigarette negli occhi – ancora più surreale. Il premio Nobel per la Letteratura mette tutti a tacere. Un silenzio avvolgente cala sulla platea, testimoniando l’effetto magnetico della sua musica.
Dylan crea un’atmosfera surreale nella sala Santa Cecilia
La visione di Dylan mette a tacere un pubblico dell’Auditorium di Roma. Luci soffuse e l’algido songwriter entra in scena. Instancabile “menestrello del rock”, a 82 anni non ha nessuna intenzione di scendere dal palco. Come un messia è circondato dai cinque fedeli musicisti, in total black: i due chitarristi Doug Lancio e Bob Britt, il bassista Tony Garnier, il batterista Jerry Pentecost, e Donnie Herron che si divide tra pedal steel, violino e chitarra. Dylan si intravede a stento, trincerato dietro un pianoforte a coda (disposto in modo perpendicolare alla platea).
Inizia a cantare “Watching the River Flow”, accompagnato dalla chitarra elettrica. E il pubblico è in delirio, si alza in piedi per l’alieno venuto dal Minnesota, che si sposta tra una città e l’altra con un bus (parcheggiato di fronte all’Auditorium). Viaggiatore di linee melodiche e parole, da quasi 60 anni.
Rough and Rowdy Ways: L’Album Guida la Scaletta del Concerto di Bob Dylan
Diciotto le canzoni in scaletta, estratte gran parte dell’album “Rough and rowdy ways” del 2020. Un distacco dal passato: Scordatevi gli immortali Blowin’ in the Wind, l’inno della lotta per i diritti civili degli anni Sessanta, l’urlo sconfinato di Like A Rolling Stone o la sognante Knockin’ On Heaven’s Door costruito intorno ad un unico giro di chitarra acustica.
Un alternarsi di toni e ritmi. Bob alterna i pezzi lenti come I Contain Multitudes o Black Rider a quelli movimentati, e ri-arrangiati, come Gotta Serve Somebody e That Old Black Magic. «Sing your hearts out, all your women of the chorus», proclama forte sulle note di “Mother Of Muses”. L’artista spinge robustamente i tasti del piano, accompagnati dalla voce graffiante.
Dalla platea si alza un grido viscerale: «I love you, Bob». E’ un popolo di devoti assoluti: dai più grandi ai ragazzi. Bob cattura trasversalmente intere generazioni con uno show moderno, senza improvvisazione. Lontanissimo dall’effetto nostalgia, il premio Nobel per la Letteratura, nel 2016, è un trasformista senza regole. Spirito ribelle che non scende a compromessi. Ritrae paesaggi e personaggi immaginari in musica.
Narratore di paesaggi e storie immaginarie, il cantautore racconta di vita e di morte, dell’aldilà e dei falsi profeti. Chiude l’intensa Every Grain of Sand, sul “tempo della confessione” con l’unico assolo di armonica della serata. Ringrazia a fatica, non interagisce con la platea Robert Allen Zimmerman, diventato Bob Dylan.
Un addio senza fronzoli. Dylan se ne va come un’entità astratta. Nessun bis, nessuna hit. Solo due miseri «grazie» in italiano per l’uomo che non conosce vie di mezze, e ha portato parole e musica sull’Olimpo.
LA SCALETTA DEL CONCERTO
Watching the River Flow
Most Likely You Go Your Way and I’ll Go Mine
I Contain Multitudes
False Prophet
When I Paint My Masterpiece
Black Rider
My Own Version of You
I’ll Be Your Baby Tonight
Crossing the Rubicon
To Be Alone With You
Key West (Philosopher Pirate)
Gotta Serve Somebody
I’ve Made Up My Mind to Give Myself to You
That Old Black Magic
Brokedown Palace
Mother of Muses
Goodbye Jimmy Reed
Every Grain of Sand