Sono 30.000 i biglietti staccati per la giornata inaugurale degli I Days Coca Cola Milano. Ad inaugurare il festival i Florence + The Machine. Un’attesa lunga per consentire al sole di tramontare e creare l’atmosfera per l’arrivo sul palco di Florence Welch e il suo gruppo, composto appunto da Florence Welch, dalla tastierista e compositrice Isabella Summers, dal chitarrista Robert Ackroyd e dall’arpista Tom Monger – evoluzione del duo Florence Robot and Isa Machine da cui era partito il progetto artistico.
L’inizio del live è molto teatrale. La frontwoman si presenta sul palco con un vestito fluente bianco che sembra luccicare sotto le luci del palcoscenico. Come una fenice che risorge dalle ceneri, la gallese con i capelli rossi emerge dall’inquadratura con la sua voce potente e nitida, a tratti conturbante, mentre fende l’aria a tempo con i ritmi autorevoli della batteria.
Lo spettacolo ha tutte le caratteristiche di un rito con l’eterea Florence Welch che si muove sinuosa ad agitare gli animi di una folla in adorazione. Con ‘Ship to Wreck’ il pubblico sta già saltando su e giù all’unisono. Welch corre lungo il palco, fermandosi solo per girare su se stessa o saltare con fervore sul posto.
Combinando la danza con il canto, Welch sembra risuonare con ogni verso che canta. Dalla recitazione dei testi, all’alzare e abbassare delicatamente le mani lungo i fianchi per consentire al suo vestito trasparente di catturare la luce. E’ difficile non sentirsi incantati dalla sua performance. Emana un’aura di pace ma anche di potere. In un lungo passaggio nel pit, Florence si affida al suo pubblico sulle note di “Dream Girl/Prayer Factory” e “Big God”. Si piange ma sembra un pianto catartico come per commemorare una sorta di guarigione.
“You Got The Love”, il potente garage-punk di “Kiss With a Fist” e “ Cosmic Love” mettono in evidenza gli elementi che fanno la fortuna della band: romanticismo cupo e dark declinato nella sensualità tribal del pop mistico. Mentre le canzoni passano da ballate piangenti ed emotive a cori allegri e incisivi, c’è un’esplosione di emozioni da montagna russa sia da parte di Welch che della folla.
Lo spettacolo culmina con il bis. Inizia con “Never Let Me Go“, una canzone che Welch descrive come particolarmente difficile da cantare e subito dopo con l’edificante ma triste “Shake it Out“. C’è anche spazio per i sacrifici umani. Con “Rabbit Heart (Raise it up)”, Welch chiede al pubblico di “sacrificare gli altri” sedendosi l’uno sulle spalle dell’altro.
È uno spettacolo travolgente ed euforico con i riflettori puntati solo su Florence, la dea, and The Machine, sullo sfondo, nella penombra di un crepuscolo.