Chadwick Boseman ha interpretato il ruolo di Black Panther / T’Challa, un simbolo perché primo eroe di colore della Marvel. L’attore, divenuto popolarissimo proprio per questo, purtroppo è però scomparso nel 2020 per un cancro al colon.
Dopo la sua scomparsa esce nelle sale “Black Panther: Wakanda Forever” che, in primo luogo, si propone di essere proprio un tributo alla memoria dell’attore. E, nonostante già da tempo il regista Ryan Cogler aveva dichiarato che non avrebbe fatto uso di tecnologie per far partecipare virtualmente e post-mortem l’interprete scomparso, ciò non toglie che la pellicola sia una grandiosa celebrazione che coinvolge tutto il cast e il mondo Marvel in un abbraccio che, ad inizio film, vede tutto il popolo in bianco dei wakandiani salutare la salma che vola via. La scena è bella, silenziosa e coronata dalla classica copertina Marvel stavolta tutta per Boseman/ Black Panther e persino tinta di viola, listata a lutto.
Un avvio bello e struggente, sottolineato dalla musica “Life me up” di Rihanna, come immaginiamo possa essere auspicato da ogni fan che va a vedere un film sul Wakanda e sul vibranio senza la presenza di una figura che, in poco tempo era diventata un’icona.
E si ritorna al cinema.
Ryan Cogler insieme a Joe Robert Cole ha riscritto la sua idea originale per trasformarla in una metafora della perdita e del lutto: se come celebrazione appare riuscitissimo, questo film che chiuderà ufficialmente la quarta fase del Marvel Cinematic Universe, nell’insieme non ha convinto del tutto: ora, azzardare un commento simile può sembrare un’infamia, eppure – nonostante non si possa fare a meno di continuare a guardare i nuovi capitoli della saga – a pagare dazio sembra proprio una trama che, nel suo (lungo, troppo) scorrere si svilisce un poco.
La prima parte del film riassegna le parti, sempre mantenendo come fil rouge la morte, anzi la perdita: la scomparsa del figlio la affronta la regina madre Ramonda (Angela Bassett), la nega la sorella Shuri (Letitia Wright), la combatte il generale Okoye (Danai Gurira) la tiene lontana Nakia (Lupita Nyong’o), l’ex compagna di T’Challa.
Tutti questi eroi al femminile sono chiamati a difendere la nazione africana del Wakanda dalle ingerenze delle potenze mondiali, che – con gli Stati Uniti in prima fila – fanno di tutto per cercare di rubare l’indistruttibile vibranio, minerale arrivato secoli fa sulla Terra dopo la caduta di un asteroide proprio nel territorio wakandiano dove le cinque tribù riunite hanno sviluppato una tecnologia avveniristica e una pace impensabile fuori da quei confini invisibili che proprio T’Challa aveva fatto scoprire per salvare il pianeta.
Poi è tutto un folle (ma quale guerra non lo è?) avvicinamento ad un conflitto che coinvolgerà anche un’altra potenza finora mai conosciuta e che vive nelle profondità marine ed è guidata dal re, con le ali ai piedi, Namòr (il senza amore interpretato da Tenoch Huerta). Episodi spiazzanti, occasioni mancate, tragiche fatalità (purtroppo fin troppo umane e riscontrabili, purtroppo, in ogni impresa bellica) sono legate alla presenza dalla studentessa del Mit Riri Williams, (Dominique Thorne), vero e proprio “genio” 19enne e porteranno assurdamente all’attivazione di una catastrofe su scala planetaria.
Il resto è il fumettone classico – dove resta meravigliosa la figura dell’agente della Cia Everett Ross (Martin Freeman) – che può piacere e non piacere in questa sua ‘rivisitazione’ post perdita. Diciamo che si può perdonare qualche leziosità di troppo, così come qualche lacuna nella trama, proprio perché chi ama la versione cinematografica dei fumetti Marvel non può non essere triste per la perdita di colui che ha impersonato Black Panther, sia nella realtà che nella sua trasposizione cinematografica e il fatto di poterlo salutare in un corale abbraccio è qualcosa che ogni fan della saga non può impedire a se stesso.
Addio T’Challa che la terra, anzi l’aria, ti sia lieve.
Il 9 novembre l’uscita nazionale #Wakandaforever