Reduce da una lunga tournée di successi in tutta Italia, ritorna a Roma, dopo il debutto al Teatro India nella passata Stagione, Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza nell’adattamento di Ippolita di Majo, per la regia di Mario Martone, che dal 26 maggio al 5 giugno accenderà il palcoscenico dell’Argentina con la parola incendiaria di una delle voci più sorprendenti, e tra le meno conosciute, della letteratura del nostro Novecento.
Dopo aver messo in scena Ramondino, Ortese, Morante, ancora una volta Mario Martone attraverso il teatro ci porta alla scoperta di un’opera letteraria originariamente non pensata per il palco, come il mondo passionale e autentico di Goliarda Sapienza – scrittrice siciliana tanto ignorata in vita quanto celebrata oggi per il grande successo postumo de L’arte della gioia.
Nella primavera del 1962, l’attrice e scrittrice viene ricoverata d’urgenza nel reparto psichiatrico del Policlinico di Roma, in seguito al primo dei suoi tre tentativi di suicidio. Come era spesso di prassi (soprattutto per le donne), viene sottoposta a diverse sedute di elettroshock.
Grazie all’impegno di Citto Maselli e del terapeuta Ignazio Majore, contrario alla pratica dell’elettroshock, Goliarda compie un percorso di analisi nel tentativo di recuperare la sua memoria devastata dalle cure psichiatriche e lentamente riaffiorano i suoi frammentati ricordi come fantasmi del passato.
Donatella Finocchiaro, nel ruolo della scrittrice, e di Roberto De Francesco, in quello del psicanalista, ripercorrono sul palco le pagine del suo romanzo autobiografico e scandaloso, uscito nel 1969 per Garzanti e recentemente ripubblicato da La nave di Teseo.
Nell’adattare il testo per la scena, Ippolita di Majo ha diviso il palcoscenico in due diverse zone che riflettono le due “zone” del mondo interno di Goliarda. “La zona 1 è uno spazio vuoto, buio, onirico, una zona appartata e solitaria, sprofondata nei meandri dell’inconscio. La zona 2 invece è il luogo della realtà, della relazione, è la sua casa, il luogo in cui i fantasmi prendono corpo, ma sono arginati dall’incontro con il dato reale, è il posto in cui ogni giorno viene a farle visita l’analista che l’ha presa in cura».
Sul palco prende forma un tempo fatto di di vivi e di morti, di fantasmi, di desideri, di emozioni segrete, di immagini distorte e inquietanti. A questo si aggiunge un rapporto complesso tra la paziente e il suo terapeuta, un sentimento amoroso che sfocia in un confronto selvaggio e brutale che finisce per devastare lo stesso psicanalista, il quale nel 1964 decide improvvisamente di abbandonare la paziente e di ritirarsi dalla professione.
Prodotto da una nutrita schiera di Stabili Nazionali – Teatro di Napoli, Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Torino e Teatro di Roma – lo spettacolo si avvale delle scene di Carmine Guarino, dei costumi firmati da Ortensia De Francesco, delle luci di Cesare Accetta; mentre le musiche del canto dei pescatori delle Isole Eolie sono di Mario Tronco.
Foto di Mario Spada