Come redazione, tendenzialmente non parliamo di calcio. L’argomento è troppo vasto e implica una continuità e una dedizione che meriterebbero una attenzione specifica.
Tuttavia, alcune notizie non possiamo proprio tralasciarle.
E certamente una di queste è la vittoria della neonata UEFA Conference League da parte della AS Roma.
Della partita, andata in scena nello stadio neutro di Tirana contro gli olandesi del Feyenoord e risolta grazie al gol di Zaniolo, trovate di tutto di più tra i giornali e i siti sportivi specializzati online.
Quello che proviamo a raccontare in queste righe è il perché si tratta di un avvenimento da inserire sotto la voce “attualità” e “società” del nostro giornale.
L’attesa di un trofeo
Erano 61 anni, vale a dire dalla vittoria nella Coppa delle Fiere, che la Roma non vinceva un trofeo internazionale. Questo dato di per sé evidenzia l’importanza di un trionfo che la città, sponda giallorossa, aspettava da anni. Anni fatti di incertezze, delusioni, secondi posti e (amare) sconfitte da “Mai ‘na gioia”, che però non hanno mai piegato un “popolo” che non smette mai di sostenere la maggica.
Mourinho
Il principale artefice è certamente lui, lo Special one che da 11 mesi siede sulla panchina romanista. Il mister portoghese è il secondo allenatore (dopo Trapattoni) a conquistare cinque titoli europei: oltre alla UEFA Europa Conference League, due volte la Champions League e altrettante in Coppa UEFA/Europa League. Inoltre, Josè è anche è il primo allenatore a portare quattro squadre diverse in finale (Porto, Inter, Manchester United e Roma) con una impressionante media di 5 successi su 5 finali disputate. Record su record che, seppur antipatico a tanti, ne esaltano la caratura come guida di club. E non solo parliamo di un vate delle panchine, ma di un comunicatore nato, capace di attrarre (sempre) l’attenzione su di sè, qualsiasi cosa faccia o dica.
La rosa
Tuttavia, se il blasone dell’uomo di Setubal poteva essere una garanzia, lo stesso Mourinho è sempre stato tacciato di avere a disposizione squadre fortissime fatte apposta per vincere. Ebbene questa volta, come solamente quando allenava il sorprendente Porto, non è stato così, perché la Roma, questa Roma, non è certamente considerabile come una formazione di vertice, perlomeno non in grado di lottare per lo scudetto, almeno in questa prima stagione a guida lusitana. E invece durante tutti i mesi invernali la squadra, tutta la squadra pur altalenante in campionato, ha continuato a credere nella possibilità di arrivare alla finale di Coppa, nonostante tante difficoltà legate, soprattutto, alle clamorose debacle con gli sconosciuti norvegesi del Bodo Glimt, patite sia nel girone di qualificazione che nell’andata dei quarti.
Tutti hanno fatto la loro parte per contribuire ad alzare la neonata Coppa nel cielo albanese. Eppure, tra tutti i giocatori, una menzione speciale la meritano i pupilli di casa Pellegrini e Zaniolo: se il primo raccoglie l’eredità di Totti e De Rossi (per non parlare di Giannini) nei cuori romanisti e contribuisce a portare avanti il mito (tutto giallorosso) dei capitani romani e romanisti, il numero 22 ha siglato il gol vincente, cancellando con il (notevole) talento una stagione altalenante. Oltre a loro il bomber inglese Abraham, il ritrovato Smalling che ha puntellato la difesa e il portiere Rui Patricio determinante anche in finale. Senza dimenticare quello Spinazzola che si è fatto un anno in stampelle dopo la vittoria all’Europeo (e che rappresenta il primo acquisto del prossimo anno).
La festa nelle piazze
Non mi stancherò mai di ricordare le emozioni che ho avuto la prima volta che sono entrato allo stadio Olimpico a guardare una partita della Roma. Chi mi portò mi fece chiudere gli occhi per apprezzare il valore dei canti della Sud, di un’emozione che è impossibile non arrivi al cuore. Quel popolo, unico nella passione (a volte anche negli eccessi, non va dimenticato) è stato capace di superare una finale di Coppa dei Campioni persa in casa (ai rigori), come di accettare l’aumento dei prezzi degli abbonamenti l’anno dopo dello scudetto dei cugini per comprare Batistuta (e vincere) e ogni sorta di difficoltà senza smettere mai di esserci e crederci.
Questo il commento di Fabio Capello all’AdnKronos: “È stata una vittoria bellissima: per la squadra e per tutti i tifosi, che se la meritavano. E se la merita soprattutto il calcio italiano: finalmente una coppa internazionale dopo tanti anni. Merito di Mourinho, certo, ma il merito è di tutto il gruppo: lui è riuscito a creare la mentalità giusta nel gruppo e la forza necessaria. E’ naturale, dopo il lockdown, in questo momento difficile, c’è una gran voglia di fare festa e di ritrovarsi, è un sentimento comune che si sente fortemente“
Per questo la festa, di per sé eccessiva per tanti versi, è comprensibile e unica con le macchine che non hanno smesso di suonare i clacson per tutta la notte in ogni dove. Una “pazza” festa giallorossa vissuta in due stadi, quello di Tirana e all’Olimpico aperto per 50mila (!) i romanisti che non hanno potuto seguire la squadra in trasferta. E poi con il pullman il giro per la città, con 150mila persone solo al Circo Massimo…
E già il movimento di popolo, il traffico bloccato, l’entusiasmo di una città (o quasi) spiegano il perchè di questo articolo.
Special oltre
Riavvolgete per un attimo il nastro della partita e pensate ad esempio al momento del fischio finale dell’arbitro: le telecamere hanno sorpreso Mourinho in un pianto a dirotto, di commozione, che non ha intaccato la sua capacità di dire frasi da gladiatore quali “Questa Coppa vale più delle altre vinte” e “Oggi sono romanista al 100% e sono parte di questo popolo incredibile“. Proprio allo Special One va il grande merito, forse ancora più della vittoria della Coppa, di aver riportato allo stadio un popolo intero. Come ha scritto Andrea Di Caro su gazzetta.it “L’amore dei tifosi per la squadra è noto: nelle gioie e nelle delusioni. La Roma non si discute, si ama. Le lacrime di Mourinho a fine partita mostrano come e quanto si sia calato nella realtà romanista. Il suo ciclo è appena cominciato e il prossimo anno la Roma sarà ai nastri di partenza con un altro spessore e convinzione: perché vincere aiuta a vincere”.
Del resto, parliamo di un professionista unico nel suo genere che “quando sposo un progetto divento tutt’uno con esso”. Al di là delle vittorie, Mourinho è un’icona, capace di toccare il cuore dei tifosi, andando oltre lo sport: parliamo di un uomo che alla presentazione guidava una Vespa (un’immagine icona che gli è valsa perfino un murales giallorosso) o che ha passato la notte di Capodanno alla Caritas romana. Uno che, per intenderci lo trovi a passeggiare per le vie del centro storico come qualsiasi turista e che dimostra in ogni occasione di aver fatto dei colori romanisti la sua casa
Futuro
La Conference League ha un valore assoluto per rivitalizzare il club e, soprattutto, per la proprietà americana dei Friedkin. Non a caso proprio la Roma è la squadra italiana che ha raggiunto in Europa i risultati più importanti negli ultimi quattro anni: una semifinale di Champions nel 2018, una semifinale di Europa League l’anno scorso e adesso questa vittoria.
Tanta roba, quindi. Tuttavia, una volta archiviata la festa, bisognerà tornare a pedalare: perché la Conference non ha il prestigio della Champions per la quale la Roma deve ricominciare a lottare in modo costante, dimostrandosi tra le prime quattro ogni anno a venire.
E allora, ci sta tutto, l’immancabile “Daje!”