Siamo nel 1978. L’Italia è dilaniata da una guerra civile. Da una parte le Brigate Rosse, la principale delle organizzazioni armate di estrema sinistra, e dall’altra lo Stato. Violenza di piazza, rapimenti, gambizzazioni, scontri a fuoco, attentati. Sta per insediarsi, per la prima volta in un paese occidentale un governo sostenuto dal Partito Comunista (PCI), in un’epocale alleanza con lo storico baluardo conservatore della Nazione, la Democrazia Cristiana (DC). Aldo Moro, il Presidente della DC, è il principale fautore di questo accordo, che segna un passo decisivo nel reciproco riconoscimento tra i due partiti più importanti d’Italia. Proprio nel giorno dell’insediamento del governo che con la sua abilità politica è riuscito a costruire, il 16 marzo 1978, sulla strada che lo porta in Parlamento, Aldo Moro viene rapito con un agguato che ne annienta l’intera scorta. E’ questo il contesto storico che fa da cornice al nuovo film in formato serie di Marco Bellocchio, nelle sale dal 18 maggio. Presentato al Festival di Cannes, il regista torna alle origini per raccontare il rapimento di Aldo Moro, interpretato da un’eccezionale Fabrizio Gifuni.
Un cadavere adagiato nel bagagliaio di una vecchia Renault. Un uomo dalla faccia scura, tenuto in ostaggio, mostra una copia della copertina di La Repubblica davanti al logo delle Brigate Rosse. Il ricordo di Aldo Moro sarà per sempre impresse in queste due immagini simbolo di una tragedia che ha macchiato per sempre la politica italiana. Due fotografie emblematiche, tragiche, impregnate di un dolore che difficilmente potrà essere sanato. Perché l’uccisione di Moro in quel fatidico maggio 1978 è una ferita che non si è mai rimarginata, e continua a sanguinare. Cosa ha spinto Marco Bellocchio a riaprire la scatola della memoria e raccontare una storia che ha ancora tanti lati oscuri. L’uccisione di Moro ha segnato la fine del rapporto di fiducia tra Stato e cittadini. Bellocchio torna negli angoli bui del nostro Paese con una grande voglia di approfondire i fatti e scandagliare le emozioni di chi ha vissuto quegli eventi.
Esterno Notte è nata come una miniserie composta da 6 episodi, per poi diventare un doppio film. C’era bisogno di tempo e di spazio per l’approccio scrupoloso di Bellocchio. Ciascuno dei sei episodi ci offre un punto di vista diverso dal quale raccontare le cose. Prima quello affettuoso e fin troppo consapevole di Aldo Moro, poi quello straziato di Cossiga, passando per i dubbi di Papa Paolo VI (Toni Servillo) il fanatismo di due esponenti delle Brigate e la riluttanza di Eleonora Chiavarelli, moglie di Moro e interpretata da Margherita Buy.
Bellocchio ricostruisce in modo quasi meticoloso una panoramica socio-politica dell’Italia negli anni di piombo per poi entrare sotto la pelle, dentro le coscienze dei personaggi. È grazie a questo approccio sfumato che Esterno Notte ha la forza dirompente del grande cinema d’autore capace di essere popolare e accessibile. Non potrebbe essere altrimenti per un evento che ha definito l’identità nazionale. cinquantacinque giorni di speranza, paura, trattative, fallimenti, buone intenzioni e cattive azioni. Cinquantacinque giorni al termine dei quali il suo cadavere verrà abbandonato in un’automobile nel pieno centro di Roma, esattamente a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI. Cinquantacinque giorni in cui la politica italiana ha mostrato il suo lato peggiore. Quello ipocrita, opportunista e spietato. Un mondo popolato di personaggi grotteschi che hanno progressivamente distrutto il sogno utopico di Moro, ovvero aprire la strada ad una politica italiana senza il vizio dell’opposizione.
Una ricostruzione dei fatti che senza retorica e con acuta sensibilità sembra voler svelare l’origine di ogni male italiano.