“La più Gucci di tutti” è il modo in cui Patrizia Reggiani si è descritta in un’intervista del 2014. Per chi non sapesse chi è Patrizia Reggiani possiamo semplicemente dire che “Lady Gucci” o “La Vedova Nera” è stata il centro di uno scandalo degli anni ’90 che ha coinvolto lussuria, denaro, moda, omicidio… e una chiaroveggente (Salma Hayek).
Salita alla ribalta della cronaca nera per essere stata la mandante dell’omicidio dell’imprenditore ed ex-marito Maurizio Gucci, per il quale è stata condannata a 26 anni di reclusione, è tornata in libertà nell’ottobre del 2016, quando fu rilasciata per buona condotta dopo aver scontato 18 anni.
A questo cocktail tabloid-friendly, il regista Ridley Scott aggiunge un pizzico di superstar del pop, con Lady Gaga (nominata all’Oscar per la sua performance in A Star Is Born) che assapora la possibilità di trovare le crepe umane sotto la superficie di una femme fatale ormai entrata nel mito..
Adattato dagli sceneggiatori Becky Johnston e Roberto Bentivegna dal libro saggistico di Sara Gay Forden, House of Gucci traccia un percorso molto godibile delle feste milanesi degli anni ’70 fino al tragico epilogo di fine secolo. Al centro c’è la storia d’amore finita tra Patrizia e Maurizio Gucci, quest’ultimo interpretato dietro occhiali elegantemente studiosi dal sexy nerd del cinema dei nostri giorni, Adam Driver. “Voglio vedere come va a finire questa storia”, dice Patrizia, imbarcandosi in una contorta storia d’amore da favola con il nipote di Guccio Gucci che inizia con balli in maschera e discorsi di rintocchi di mezzanotte e zucche e finisce con pugnalate alle spalle in famiglia, scatti di gelosia e rivalità mortali.
All’inizio, tutto è passione lirica quando Patrizia scarabocchia il suo numero con il rossetto sul parabrezza dello scooter di Maurizio. È un’immagine impressionante: lui, un idiota su due ruote; lei, un numero da circo, che si fa strada in monociclo attraverso il tendone della ricchezza dinastica. Forse non sa distinguere un Klimt da un Picasso, ma Patrizia ha una grinta da vendere, una sete di riscatto e un’abilità manipolatrice degna del miglior narciso patologico.
È certamente così che la vede Rodolfo, ovvero Jeremy Irons, quando ripudia suo figlio per aver sposato una ragazza che proviene da una famiglia di “camionisti!”. Il subdolo zio Aldo (Al Pacino) è più innamorato e si innamora del fascino sfacciato di Patrizia, permettendo a lei e a suo nipote di mettere le mani sulla casa di moda che possiede insieme a suo fratello. Un minuto prima, Patrizia è la figlia di un magnate dei trasporti, quello dopo è Lady Macbeth, che si prepara a “portare fuori la spazzatura”.
Altrettanto rapido è il passaggio dal matrimonio felice alla separazione infernale, un salto quantico di devozione da parte di Maurizio che scappa da Patrizia e si rifugia in Paola (Camille Cottin di Call My Agent). Dietro tutto questo si nasconde l’ombra de Il padrino, che fornisce un modello archetipico per tutto, da una festa rurale all’aperto presieduta da Pacino all’intercalare di atti oscuri e inzuppamenti battesimali, sebbene in acqua di bagno e piscina piuttosto che in acqua santa.
E poi c’è Jared Leto, un attore il cui mantra degli ultimi tempi sembra essere “mai consapevolmente sottotono”. Nei panni del figlio idiota di Aldo, Paolo, Leto sembra essere protagonista del suo video privato di audizioni per i premi. Dopo aver camminato per tutta la lunghezza del bancone dei capelli e del trucco, arriva sullo schermo sfoggiando una sinfonia protesica di abiti sciocchi e budella sporgenti. Per quanto riguarda la sua voce, mentre gli altri adottano inflessioni italiane debolmente ridicole, Leto pronuncia le sue battute in una serie di fischi acuti che suggeriscono che stia cercando di comunicare forse con gli alieni. Solo Pacino si avvicina a eguagliare la presenza parodica di Leto sullo schermo; decisamente troppo grotteschi entrambi, al limite del ridicolo.
House of Gucci fa comunque un solido lavoro di evocazione del suo ambiente storico, gradevolissimo guardare gli eccessi degli anni 80 e 90 con quel giusto distacco che oggi ci consente la dialettica contemporanea, la colonna sonora è una delizia del cattivo gusto, da Pavarotti a Tracy Chapman che si accoppiano con Caterina Caselli e Blondie, e un matrimonio che si svolge sulle note di Faith di George Michael.
Nel bene e nel male, House of Gucci è un film po’ troppo ben educato per diventare un classico di culto, manca di una certa profondità psicologica che avremmo certamente gradito, Lady Gaga però si merita un bel voto per aver guidato la sua ferrari attraverso la follia – in ricchezza, non in povertà; nel kitsch e nella sguaiatezza tipica di chi vuole tutto a tutti i costi.