Una mostra a Roma permette una valutazione rinnovata e inedita di un maestro della fotografia, un artista apprezzato a livello internazionale, ma appartato nella storia e nei massimi circuiti, e che attende da tempo il giusto valore della sua scala. Che è quella di uno dei più grandi fotoreporter del XX secolo. Il suo nome è Caio Mario Garrubba.
Caio Mario Garrubba – FREElance sulla strada, è il titolo della mostra fotografica promossa e organizzata dall’Archivio storico Luce, ospitata a Palazzo Merulana dal 9 ottobre al 28 novembre. Curata da Emiliano Guidi e Stefano Mirabella, in un percorso di 116 scatti, per la maggior parte inediti, la mostra restituisce finalmente alla Capitale e all’Italia, da un nuovo punto di vista, un fotografo che ha segnato tangibilmente un’influenza oggi evidente e testimoniata sul fotogiornalismo internazionale e la street photography. E che ha saputo unire con uno sguardo unico racconto sociale e risultati estetici impressionanti.
La mostra di Palazzo Merulana raccoglie un cuore temporale dell’opera di Caio Garrubba, con scatti che vanno dai primi anni ’50 ai primi ’80. Nato a Napoli, classe 1923, Garrubba è stato dal suo esordio alla macchina nel 1953 – nel mitico ‘Mondo’ di Mario Pannunzio, con un seminale reportage dalla Spagna franchista – un infaticabile reporter camminatore. Un freelance dello sguardo, scopritore di quattro-cinque mondi. Di popoli lontani, città, esistenze, che i lettori spesso conoscevano proprio grazie agli scatti della sua Leica, per la prima volta con quella confidenza, quella ‘fratellanza’. Dopo la Spagna Garrubba ha inviato reportage dall’Unione Sovietica (nel ’57, quando in Europa non c’era chi non si chiedesse cosa vi accadeva), dall’Europa dell’Est (fino a diventarne uno dei principali narratori occidentali), dalla Cina (secondo fotografo europeo inviato a effettuare scatti nella Repubblica Popolare), dalla Thailandia. Dagli Stati Uniti, dove proseguì la lezione degli amati reporter di ‘Life’, dei Walker Evans, e dove entrò in contatto con William Klein; dal Brasile, la Francia, la Grecia… e dalla sua Napoli, e il meridione italiano.
Felicemente avulso dalla foto sensazionale che ‘fa notizia’, le sue immagini venivano regolarmente pubblicate da testate di diversi paesi come ‘Stern’ ‘Der Spiegel’, ‘Nouvel Observateur’, ‘Life’, ‘Guardian’, ‘Kristall’, ‘L’Express’, e sulla stampa italiana da ‘Il Mondo’, ‘L’Espresso’, ‘Epoca’, ‘La Repubblica’, ‘Il Messaggero’, ‘il Venerdì’, ‘Vie Nuove’. Non ambiva a fotografare i grandi personaggi, ma nessuno come lui ha catturato Mao, Kruscev, JFK e Nixon, come fossero persone comuni. Perché il cuore della fotografia di Garrubba è questo: le persone, la gente comune, lo spirito della vita e del tempo. Che non è corretto dire sono immortalati, perché nelle sue immagini la vita scorre con una meravigliosa fluidità. Ma che rendono le sue foto immortali. E con le persone, un viscerale senso della giustizia sociale e delle ingiustizie, dell’abbattimento delle differenze e distanze imposte. Mai calato dall’alto, ma sempre accanto, lo sguardo di Garrubba sulla realtà mostra tutte le contraddizioni del potere, della politica, del comunismo, dell’occidente capitalista, l’indignazione e le domande di riscatto, sempre per una via di estatica, incantata bellezza.
Forse anche in virtù della sua poetica e politica, Garrubba nonostante il riconoscimento unanime di critici e colleghi e la globalità delle pubblicazioni, attende ancora di entrare nel novero di alcuni fotografi internazionali più blasonati, divenuti autori di costante esposizione, addirittura dei bestseller. E si pensa al più noto dei suoi colleghi-estimatori, quel Cartier-Bresson che ripetutamente, e senza successo, lo invitava a entrare nella grande agenzia Magnum.
Foto di copertina gentilmente concesso da Cinecittà