Spesso nelle sezioni collaterali della Mostra del Cinema si trovano chicche preziose che avrebbero meritato un riflettore più importante. E’ il caso di questo bellissimo spaccato di vita quotidiana “A plein temps” firmato da Eric Gravel e impreziosito dalla straordinaria performance di Laure Calamy nel ruolo di Julie, una madre single in costante movimento e alle prese con un capitolo piuttosto caotico della sua vita.
Gravel indugia spesso sul volto di questa giovane mamma che ha fatto la scelta migliore per i suoi figli, ovvero decidere di vivere in campagna per dare ai suoi piccoli spazio, aria pulita, possibilità di contatto con la natura e una casa naturalmente più grande. Ma, come si sa, ogni scelta ha i suoi pro e contro, quindi bisogna alzarsi presto alla mattina, lasciare i bimbi a qualcuno che te li porti e te li riprenda da scuola, che faccia loro da mangiare fino a quando tu torni, sfatta, dal lavoro e te li rivai a prendere e devi essere felice, perfetta, impeccabile. Sempre. Qualunque cosa ti sia accaduta nel frattempo. Una situazione in cui molte madri potranno riconoscersi e che Gravel descrive alla perfezione, calandosi dentro la psicologia di una donna quasi meglio di una donna stessa.
“Ho scelto di vivere in campagna qualche tempo fa – afferma il regista – e andavo a Parigi ogni tanto. Ma mi sono accorto invece che i miei vicini ci andavano tutti i giorni per lavoro e ho cominciato a chiedermi come sarebbe stata la mia vita se avessi dovuto fare lo stesso. Ho cominciato lì a creare questo personaggio di Laure, perchè mi sento molto vicino alle donne e all’universo femminile. Anche il mio primo film parlava di donne (Crash Test Aglaè ndr), mi interessano le loro storie e ho cominciato a chiedermi quale sarebbe stata la peggiore condizione possibile per questi pendolari ed era chiaro che a farne le spese maggiori fossero le madri single. Lo si è visto anche durante le proteste dei Gilet Gialli, erano le madri in piazza a colpire maggiormente la mia attenzione. Ho voluto quindi raccontare un aspetto molto poco raccontato nel cinema”.
Tutto potrebbe funzionare alla perfezione, è una scelta sacrificale ma voluta, dunque ben sopportata, se non quando il meccanismo si inceppa. Una serie di scioperi dei trasporti – e si sa che in Francia le proteste sono lunghe, dure, paralizzanti – costringe Julie a fare i salti mortali per arrivare al lavoro in orario in centro a Parigi dove fa la cameriera in un hotel di super lusso. Un luogo dove ogni dettaglio non può essere lasciato al caso, dove anche la piega sul cuscino deve avere l’imprinting da 5 stelle. Ma Julie comincia a fare ritardi, ovviamente, ogni giorno diventa una corsa contro il tempo per sè stessa e i suoi figli, e nel frattempo sta anche cercando di cambiare lavoro quindi chiede alle sue colleghe di coprirla mentre va ai colloqui per altre società.
E’ una situazione snervante e avvilente quella di non poter avere il tempo per fare le cose, di dover ricorrere all’inganno per mantenere l’unico lavoro che ti consente di vivere e non finire in mezzo ad una strada. Ma quale madre (responsabile) non si immolerebbe per i propri figli?
In una Parigi fredda, ostile, caotica e orrenda come solo sanno esserlo le metropoli che non ti amano Julie si ritrova come una novella Giovanna d’Arco ad accettare il rogo pur di non rinunciare alle sue scelte. La forza, intrinseca alla volontà, con la quale va incontro a questo destino è ammirevole. Fino all’epilogo, che non sveliamo, ma che apre una porta alla speranza, forse.
“Ho volutamente scelto di far vedere una Parigi aliena e ostile – continua Gravel – come lo sono tutte le metropoli quando ti mettono i bastoni tra le ruote, tutto diventa più difficile, la città romantica e la ville lumière scompare per dare spazio al mostro che ti inghiotte. E’ vero che la pandemia ci ha dato tante possibilità di smart working ma per certi lavoratori questa non sarà mai un’opzione, le cassiere del supermercato, gli infermieri e appunto i camerieri ai piani di un grande hotel, professionalità che prima non vedevamo nemmeno e che abbiamo rivalutato in questo anno e mezzo”.
“Purtroppo non passiamo passare l’aspirapolvere via internet – aggiunge Laure Calamy – e questo non potrà mai cambiare. Mia mamma aveva una signora che l’aiutava a casa prima del Covid, poi è scoppiata la cosa e la signora non si è più vista. Quando l’ha ritrovata mesi dopo, la signora aveva i capelli bianchi, era dimagrita moltissimo, era un po’ fuori di testa e tutto questo mi ha fatto pensare alla novella di Maupassant – Le Horla – dove il protagonista finisce con l’impazzire. Ecco, questo per dire, che ci vuole veramente una forza sovraumana a volte per non arrivare al suicidio o all’infanticidio, e lo dico in modo provocatorio, ma la forza di certe donne è straordinaria”.
Lei ha figli Madame Calamy?
“No, e i miei amici che ne hanno a volte mi dicono “hai capito tutto!”.