Il titolo originale del libro di Anna Wiener – “Uncanny valley. A memoir” – pone l’accento su un aspetto solitamente trascurato della Silicon Valley, il suo lato “inquietante”. Ne “La valle oscura”, appena uscito per Adelphi nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Wiener racconta i suoi cinque anni trascorsi nel regno dei big data. Con una laurea in sociologia, un lavoro monotono in una piccola agenzia editoriale, un appartamento condiviso a North Brooklyn, era arrivato il momento per il salto nel mondo delle startup digitali in una delle azienda che promette di diventare il “Netflix dei libri”. Si ritrova in un ufficio che assomiglia a un appartamento e dove si comunica tramite messaggio anche con chi era seduto di fronte, la scrittrice deve confrontarsi con colleghi, quasi tutti uomini, devoti al culto del software.
Il libro offre uno sguardo raro a ciò che molti hanno continuamente definito “Il futuro del lavoro”. Il suo punto di vista, tuttavia, è sinceramente disilluso. Inquietante, per esempio, apprendere che i dipendenti della startup in cui lavorava la Wiener si chiamavano per username, anche quando parlavano di persona. Wiener non è una fanatica della tecnologia, il fricchettone estremo, (o quello che chiameremmo un “nerd”). Non crede agli slogan del mondo delle start-up. Coglie le preoccupazioni di una parte dell’economia dove i soldi sono il vero motore. Un ecosistema, come lo definisce Wiener, che predica la più totale libertà di espressione individuale, crede nella crescita inarrestabile, nell’innovazione continua, come garanza di crescita economica, e coltiva la convinzione di migliorare il mondo grazie al potere della tecnologia.
“La Valle Oscura”, lontano dal trionfalismo delle narrazioni aziendali, propone una visione genuinamente pessimista sul ruolo che i lavoratori, lungi dall’essere i padroni del loro destino, diventano ingranaggi di una macchina che non deve fermarsi, proprio come Charlie Chaplin in Modern Times. Percepiscono stipendi molto più alti, ma avere uno stipendio da tech nel mercato immobiliare più competitivo della nazione non sempre consente una vita di lusso.
Lo stile di Winer è nitido, descrittivo. La frase più ripetuta nel libro è “Non lo sapevo”, che rivendica il suo ruolo di outsider di chi con un background di studi umanistici, si è lanciata in un modo dominato da aziende data centriche, dove l’analisi dei dati rappresenta l’unica chiave per interpretare la realtà. E che tendono ad avere una visione unica, essendo giganti fondati da, o dove lavorano, ingegneri che hanno la stessa età e background accademico, e che fanno parte della stessa etnia (bianchi e asiatici), genere e classe sociale.
Wiener confenziona uno dei libri più divertenti e disperanti, intelligenti e sottili pubblicati sulla Silicon Valley, su un mondo nel quale, ci piaccia o no, siamo tutti invischiati e che rende gli smartphone – e quindi il capitalismo della sorveglianza – strumenti per modificare i nostri comportamenti, cioè i comportamenti degli individui, dei gruppi e di intere popolazioni.