Il 23 febbraio 2020, l’artista Miltos Manetas si trova a Londra insieme con Brian Eno, Roger Waters, Vivienne Westwood, Zižek e altri cercando di attirare l’attenzione dei media sul caso Assange: non è facile, a pochi interessa in quel momento, la condizione di un uomo “chiuso dentro” da ormai 8 anni. Però, di lì a pochi giorni, la condizione di Assange diventerà una condizione simile a quella di tutti noi, una cosa che non si poteva immaginare. Manetas inizia a dipingere ritratti di Assange e a caricarli su Instagram per vedere se qualcuno li vuole ricevere gratis.Immediatamente, arrivano molte richieste e l’aetista scopre che molta gente vuole avere un ritratto di Julian Assange-
La mostra “Condizione Assange, che, a partire dall’11 maggio 2020, sarà ospitata nella Sala Fontana di Palazzo delle Esposizioni, è costituita da una serie di circa quaranta di questi ritratti eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno. Una mostra che è deliberatamente fatta per non poter essere visitata e che vuole rappresentare, fra le molte cose dette e fatte in questi ultimi due mesi in tutto il mondo, un particolare, forse paradossale, contributo di riflessione sulla condizione della reclusione, dell’isolamento, dell’impossibilità dell’incontro.
L’unica modalità per conoscerla ed esplorarla rimarranno la sua comunicazione e la sua documentazione attraverso i canali social e digitali di Palazzo delle Esposizioni e il profilo https://instagram.com/condizioneassange creato dall’artista per essere riempito di contenuti a partire dal momento dell’inaugurazione, l’11 maggio alle ore 18.
“Condizione Assange” vuole essere soprattutto un’operazione che coglie, nella coincidenza fra la lunga storia di reclusione e isolamento – prima da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, poi, dopo il “sequestro”, nelle prigioni inglesi – di sovraesposizione mediatica e, allo stesso tempo, di riduzione al silenzio di Julian Assange, molte analogie con la condizione vissuta da miliardi di abitanti del pianeta, in queste settimane.
Non si tratta quindi solo della denuncia di un’ingiustizia, o di un tentativo di richiamare l’attenzione pubblica sulla vicenda di una persona che si è consapevolmente e ripetutamente assunta la responsabilità di rendere pubbliche informazioni segrete e che ora rischia, con l’estradizione negli Stati Uniti, la pena di morte. E neanche di una mostra di quadri di un artista che decide di dedicare la sua pratica a ritrarre un volto “difficile” (sia per la complessità del personaggio sia, come dice lo stesso Manetas, per le sue caratteristiche espressive).
La mostra è un autoritratto di gruppo, parla di noi che siamo rinchiusi e cerchiamo di vedere nel futuro, insieme con tantissimi che non hanno il lusso di una casa dove rinchiudersi né di guardare più in là dell’immediato – e per loro crudele – presente