La periferia borghese di Roma detiene presagi di malvagità negli ultimi film italiani. Dopo La Terra dell’abbastanza ,una gangster story postadolescenziale, Fabio e Damiano D’Innocenzo tornano dietro la macchina da presa per raccontare di genitori immaturi che avvelenano la proprio prole. Tra le villette a schiera, abitano famiglie il cui senso di disagio di chi vorrebbe vivere altrove diventa la promessa per mettere in scena un racconto giocoso, anche se estremamente oscuro.
Dietro una patina fasulla di barbecue e piscine, piccole feste e cene in giardino, si nascondono profonde tensioni tra genitori strani e frustrati per non avere raggiunto lo status sociale che pensavano di meritare e figli diligenti a scuola ma emotivamente asfissiati da un mondo torbido dal quale cercano di difendersi e di reagire.
Gli adulti in tutto il film non ci fanno una bella figura: quando non sono brutali o volgari ci appaiono goliardici e fatui. Tra questi ci sono Bruno, Elio Germano, e Dadila, Barbara Nicchiarelli, una coppia sposata che vive con i due figli preadolescenti.
I registi, premiati con l’Orso d’Argento per la sceneggiatura alla 70esima edizione della Berlinale, hanno scelto di sfruttare una frattura inconciliabile tra due generazioni, genitori e figli, come asse narrativo di tutta la storia. Il discorso morale, necessario in ogni fiaba, del bel film dei fratelli D’Innocenzo si struttura su più livelli: in primo luogo entrambe le prospettive, quella degli adulti e dei bambini, parlano di marginalità e riflettono il destino, il caso/caos della realtà da cui si possono estrapolare numerose considerazioni etiche. Ci riferiamo alla periferia intesa come luogo limitrofo sia nella geografia che nell’anima, che riesce a essere tanto quanto fragile ed emotiva. Qui una umanità di giovani scolpita nel sangue e nella paura provano a sopravvivere allo squallore di un’atmosfera malsana, dove il senso della tragedia è dietro l’angolo.
Il fenomeno D’Innocenzo è tutto nello sguardo rigoroso ed abrasivo che rifiuta le moine spettacolari e “costruisce” orgogliosamente il suo linguaggio senza la benché minima traccia di faziosità ideologica. Favolacce è un altro grande manifesto di umanesimo, in cui nessuno perde e nessuno vince. Tranne forse per la generazione futura che ancora possiede un autentico pezzo di verità.
Foto di copertina: Facebook Damiano D’Innocenzo
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