Sono le guerrigliere curde le star del Festival della Fotografia Etica 2019 in corso a Lodi. Donne, e uomini, bambini, vecchi, che emanano umana energia di compassione, pur se imbracciano un fucile o si aggirano attorno a un carrarmato.
C’è un’intera schiera di ritratti potenti alla decima edizione del Festival, inaugurata il 5 ottobre scorso e aperta nei prossimi due weekend del mese fino al 27. Fotografie “per parlare alle coscienze” e al grande pubblico di quanto succede nel mondo. Sette sedi di mostre, venti monografiche, più di sessanta autori, senza contare l’Off. I temi: dai paradisi di Dubai ai gilet gialli, dalla Costa d’Avorio alla terra dei fuochi, dai Rohingya alla carovana centroamericana. Fino alle giovani e coraggiose surfiste iraniane, cui va il premio Single Shot nelle foto di Giulia Frigieri.
Il cuore del festival organizzato da Alberto Prina e Aldo Mendichi con il Gruppo Fotografico Progetto Immagine è il corpus dei premi World Report Award, assegnati tra 600 partecipanti da tutto il mondo. Oltre a questo corpus, esposizioni rilevanti come la mostra Guerriglieri curdi di Joey Lawrence sulle milizie del Pkk: una fotografia che riesce a distillare le personalità delle figure riprese e a veicolare una chiamata all’ingaggio emotivo, a prendere parte.
Dunque ritratti, occhi, ferite da ogni parte del mondo, che si rincorrono e si richiamano. Come un coro che, nel denunciare i soprusi e le ingiustizie, invoca la manifesta bellezza della vita e del pianeta e chiede pace e convivenza.
Tra i progetti cui è stato dedicato maggiore sviluppo, quello di Monika Bulaj, fotografa, intellettuale, performer, figura poliedrica e interessante della scena internazionale e italiana (polacca, triestina di adozione). Con Broken Songlines la Bulaj scende, in innumerevoli viaggi, nelle profondità dei riti delle minoranze religiose, nei crocevia delle culture, nazioni e religioni. “Cercando il bello – scrive – anche nei luoghi più tremendi. La solidarietà nella guerra. La coabitazione tra fedi laddove si mettono bombe”. Alternate al bianco e nero, le immagini a colori raggiungono intensità pittorica. Il progetto con Bulaj prevede anche, nell’ultimo weekend del festival, un recital, una visita guidata e un workhop.
Un secondo racconto articolato, tutto in bianco e nero, è il disperato Sognatori/Dreamers di Darcy Padilla, cui è dedicata l’immagine guida del festival e vincitore del premio Master. Storie dalla riserva indiana di Pine Ridge, il posto più povero in America. Lì la vita è schiacciata dall’abuso di alcol e metanfetamine, da manette e carcere, tra sussulti di rivendicazioni senza speranza.
Terzo progetto da segnalare per efficacia, Zakhem-Ferite, La guerra in casa realizzato con Emergency dal fotografo Guido Piscitelli. Nel 2018 Piscitelli ha visitato i Centri chirurgici per ferite di guerra di Kabul e di Lashkar-gah in Afghanistan. Nella ex Cavallerizza di via Fanfulla, tra scavi e travi ferro, emergono da grandi immagini bianche scattate in ospedale, gli occhi scuri, profondi e belli, di ragazzini e giovani adulti operati. A fianco di ciascuno, il dettaglio del proiettile o del pezzo di ordigno estratto dalle ferite. Una guerra in corso da 18 anni, che continua a uccidere o a ferire.
Tra i World Report Award, due giovani autori tedeschi. Emile Ducke ha vinto il premio Short Story con Diagnosis. Il racconto in pochissimi scatti del treno-ospedale che raggiunge i paesi sperduti della Siberia, facendo diagnosi, raggi ed esami, e ospitando a bordo, almeno fino al 2018, una cappella per il rito ortodosso. Storia a colori pastello che rimanda a un Dottor Zivago del Terzo Millennio, in una realtà ancora oltre cortina.
Il premio Student è andato invece a Arne Piepke, con Glaube, Sitte, Heimat, tre parole germaniche (fede, stirpe, patria). A queste si ispirano le comunità di tiratori, gli Schuetzen, nel Nord della Germania. Si ritrovano tutti gli anni ripetendo riti della tradizione. Non hanno, affermano, alcuna affiliazione politica. Le immagini di Piepke lasciano spazio ad associazioni di idee e curiosità.
Il tema del riscaldamento globale sarà destinato a crescere nelle prossime edizioni. Due mostre quest’anno parlano in modo importante della trasformazione della natura. Il reportage di Senthil Kumaran, in bianco e nero, con scene di caccia fotografica notturne, Confini, il conflitto tra esseri umani e tigri racconta dell’impossibile convivenza in India tra tigri sacre, sempre più affamate per mancanza di prede, e i piccoli villaggi vicini ai parchi, con spazi di vita tra umani e fiere che si sovrappongono.
Il turismo all’epoca del cambiamento climatico è stato realizzato da Marco Zorzanello. Da archeologo che era, dal 2015 si sta dedicando a questo progetto. Zorzanello riprende paesaggi, tra Dolomiti, Israele e Groenlandia, indagando come, cambiando la natura, cambi il turismo. Qui vediamo soprattutto sciatori che si spingono su piste di neve artificiale davanti a scenari bruciati e brulli, con alberi “sempreverdi” tristemente rinsecchiti. Scenari ormai comuni delle nostre vacanze, ma finora non così lucidamente focalizzati.
Novità di quest’anno, lo spazio tematico sull’Italia. Anche qui si schiera un mostro sacro, con storiche foto sugli omicidi di mafia: Letizia Battaglia.
Il Sud è il principale protagonista della sezione. C’è un ritratto sociale e di costume come Prima Comunione di Diana Bagnoli, che evidenzia l’accresciuta importanza del rito come ingresso nella società. Ci sono due progetti di denuncia come Epidemia di Massimo Berruti sulle ricadute sulla salute della Terra dei Fuochi e Mare Mostrum di Marco Valle, che descrive gli scempi e i rischi lungo le coste italiane, tra tuffi nei canali di scarico e abusi edilizi. Ci sono belle foto sulla scuola e sulla forza lavoro con Terraproject Photographers, che ritraggono anche la fatica e la serialità dei concorsi pubblici.
Sul tema del lavoro c’è l’impegno rispettato, assunto dal Festival lo scorso anno, in occasione della polemica sulle mense scolastiche, di sviluppare un progetto sulle migrazioni a Lodi. Diciotto ritratti di cittadini o abitanti lodigiani di origine straniera sono stati realizzati da altrettanti fotografi del Gruppo Fotografio progetto Immagine, coordinati da Paolo Marchetti. Sono esposti allo spazio Ludesan Life con la mostra Articolo 1.
Infine il premio World Italy, che è stato assegnato a Serra Maggiore di Mariano Silletti: una Basilicata bellissima e silenziosa, dove alcuni vecchi decidono di restare o tornare nelle campagne e nelle case abbandonate. Un piatto di minestra, un pezzo di pane e un bicchiere di vino, una vita semplice per rimettersi in armonia con il mondo e la natura. Una indicazione di resistenza e una via d’uscita, per i mali del mondo.
Per concludere una riflessione. Molto alta la qualità degli scatti, non c’è dubbio, ma continua a porsi sottotraccia, qui come ovunque, un tema discusso e aperto da anni riguardo la rappresentazione per immagini e l’utilizzo della foto a colori, in particolare nei reportage.
C’è un ritorno importante alla foto in bianco e nero, cui viene affidata una certa veridicità di racconto. Le foto a colori sembrano invece, anziché iperrealistiche, dipendere dalla tavolozza. Banalizzando, e molto, si può dire che la foto d’autore predilige la sovraesposizione, e in questo caso la si legge come una scelta artistica, di minimalismo e pulizia. La foto di reportage sembra invece privilegiare toni drammatici, per esempio giocando con la desaturazione. Qui il rischio è più alto, perché trattandosi di immagini di reportage, magari di autori diversi, magari esposte insieme, possono sembrare innaturali, trascinate in un comune scivolamento verso il non colore. A Lodi tra i progetti che si distinguono per onestà di colore c’è senz’altro quello sugli immigrati in città, Articolo 1. Il dibattito continua.
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