Si presenta come un film sul fare la guerra, ma “Scherza con i fanti”, di Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna presentato alla 76a Mostra del Cinema Venezia, è un canto alla pace e sull’insensatezza dei conflitti. Il nuovo film documentario della coppia di autori ripropone la formula riuscita di “Lascia stare i santi” e affianca ricerca storica e musiche popolari. Presentato come evento speciale alle Giornate degli Autori il film ha già ottenuto il Premio Siae per il Talento Creativo.
La “piccola storia degli italiani in divisa e di come abbiamo imparato a non aver paura della pace”, prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà e diretto da Pannone, ci parla dei fanti. La meglio gioventù mandata in prima linea, con amor patrio, ma con gli occhi le atrocità commesse, non solo quelle subite. Le loro voci ci arrivano attraverso quattro diari autentici di epoche storiche diverse, accompagnati da canti o musiche originali di Sparagna, e da un’accurata ricerca iconografica. La scintilla del film, ha raccontato il musicista, è stata proprio la consapevolezza dell’ampio repertorio di canzoni italiane sulla guerra, il più delle volte critiche.
L’intento è di essere “un viaggio tragicomico nella recente storia d’Italia, e insieme un canto per la pace”. Un viaggio lungo oltre un secolo, dall’Unità d’Italia a piazzale Loreto fino al Kossovo, dove finalmente gli italiani sono portatori di pace e stabilità. Di “comico” nel film c’è bene poco, se non le guarattelle napoletane di Mario Stammati, che aprono, interrompono e chiudono il racconto alleggerendolo, con Pulcinella che bastona la Morte. Nelle belle immagini dell’Istituto Luce-Cinecittà, ci sono sequenze di conflitti e crudeltà, di partenze e di comizi, ma c’è soprattutto il ritratto di un Paese che in guerra proprio non ci vorrebbe andare. Un Paese prevalentemente conquistato e malvolentieri conquistatore, che esprime nel suo popolo leggerezza e vitalità.
Il film attraversa i diari dei fanti tenendo sempre in primo piano la figura di Vincenzo Marasco, militare della Marina, che ha partecipato ad una missione di pace in Kossovo. Racconta commuovendosi dei bambini che si appoggiavano alla base italiana. Un “neo-patriottico” che incarna la speranza del regista Pannone: “L’Italia potrebbe essere un paese di portatori di pace”.
C’è una sorta di rovesciamento nel film e si documenta l‘orrore che Storia scritta dai vincitori non ha raccontato. La narrazione scorre fluente e la musica rappresenta la voce critica verso le guerre. Dal suo diario Carlo Margolfo, bersagliere, 1861. Partecipa con il Regio esercito alla rappresaglia a Pontelandolfo. Il paese viene dato alle fiamme con i suoi cinquemila abitanti. Vede l’orrore, ma scrive “è meglio fare il soldato che morire”. C’è il diario dell’autista del Regio esercito, Elvio Cardarelli, che da Viterbo parte giovane fascista per la guerra coloniale di Etiopia. Lì arriva, col tempo, al raccapriccio per l’utilizzo di gas e lanciafiamme verso le popolazioni locali. Poi c’è il racconto della partigiana di estrazione cattolica Rosetta Solari. Nel 1944-45, Appennino parmense, combatte su due fronti: uno contro i nazifascisti, l’altro per fare accettare se stessa, partigiana donna, ai suoi compagni di lotta.
L’ultima voce, ammonitrice, è quella dello scrittore Ferruccio Parazzoli, abitante a Piazzale Loreto, cui ha dedicato i suoi romanzi. Ripercorre la fine di Mussolini in quel luogo, e si interroga su quanto possa esser effimero, in Italia, il potere di un pifferaio magico, che oggi viene seguito e domani ucciso e oltraggiato.
La musica è spesso la vera protagonista del film. E’ commovente con “San Lorenzo” di Francesco De Gregori sulle immagini di Pio XII in visita alla Roma bombardata, con “Madre di Dio” di Giovanni Lindo Ferretti mentre i soldati partono per la guerra. Ma è anche, lei stessa, il simbolo di una scelta diversa, nella cornamusa che imbraccia, al posto del fucile, il soldato marinaio Vincenzo incamminandosi per le strade del paese.