In un Paese spaesato, qual è l’Italia, è un piccolo paese come Aliano che esprime, nel festival ”La luna e i calanchi“, un modo per esistere, coesistere, resistere.
Nel paese d’esilio e di sepoltura di Carlo Levi, si è tenuta l’ottava Festa della Paesologia ideata e diretta da Franco Arminio, poeta e “paesologo”. Cinque giorni e quattro albe no stop, che hanno portato, nel paese lucano di 971 abitanti, 150 artisti, 20 mila persone da tutta Italia, soprattutto Centro Nord, di cui 700 alloggiate in paese e più di un migliaio in tenda .
Un popolo errante in cerca di un modo diverso e più gentile di stare al mondo. Una comunità provvisoria che ha condiviso le ore, cantato, camminato, ascoltato poesie, preso parte a concerti, spettacoli, azioni paesologiche, laboratori e conversazioni, vissuto la festa, il silenzio e le notti, si è abbandonata alle “albe necessarie” e al flusso continuo degli accadimenti. Quasi provando quel sentimento di chi è tornato a vivere a casa sua a Sud “per un bisogno di nutrire l‘anima“.
Franco Arminio ha invitato ad essere presenti con “letizia” e con un senso del sacro in questi luoghi di poeti, di bellezza prodigiosa, di una natura potente ed aspra. Lui che dice “prendi un angolo del tuo paese e fallo sacro” nel comunicato ha scritto “abbiate cura di andare in Lucania come se fosse un pellegrinaggio, come se fosse la nostra terra santa a cui manca un redentore”. E così è stato, un popolo camminante, rispettoso, attento.
La “paesologia” di Arminio non è scienza, bensì poesia: epifanie nell’attraversare i piccoli paesi italiani. È politica quanto lo è un’azione situazionista. Fa pensare al “poeticamente abita l’uomo” di Hölderlin. Più semplice in un paese che si svuota, più difficile nelle città, impossibile davanti alla tv o rapiti dalle bolle del web. “Aliano più che un Sud è un altrove”. La poesia e la scrittura paesologiche incontrano necessariamente il tema dell’anoressia demografica dei paesi appenninici del Centro Italia, e i “parlamenti” della festa hanno attraversato i temi del ritornare, e in particolare di tornare a Sud, portando energie e idee nuove. Un vagare che sottolinea la necessità di punti di riferimento, la mancanza di maestri, di cui si è parlato con Filippo La Porta, che ha scritto “Disorganici. Maestri involontari del Novecento” sostenendo “i maestri oggi non ci sono, perché è subentrata l’invidia all’ammirazione”.
I piccoli paesi, così visti, adesso appaiono desiderabili. Al netto degli “scoraggiatori militanti”, la “forma del paese può essere la forma ideale per abitare il mondo”. “Bisogna che il paese non sia fatto solo dai paesani – ha spiegato Arminio in una bella intervista al Foglio – Dovrebbero abitarli anche persone con lo sguardo ventilato, aperto, affettuoso. (…) Ci vuole lo sguardo esterno, l’essere intimi ed estranei”.
“La luna e i calanchi” è stata una festa laica del sacro, piena di miracoli, tra cui la tranquilla passeggiata tra i calanchi, dove il maestro (elementare) Franco Arminio ha guidato, con il bastone da vecchio di paese e da pastore, un fiume di più di mille persone. In cima o in mezzo alle dure argille sono apparse figure epiche, con Tessuto Corporeo, Ilaria Carlucci e Alberto Cacopardi, con Amalia Franco, ha preso voce Pasolini con Lara Chiellino e altri artisti hanno camminato, suonato e cantato con gli erranti.
Aliano tutta, nel centro storico, è diventata un palcoscenico diffuso, aperto all’imprevisto. Come Dario Brunori (sas), primo tra gli agenti della letizia, che in piazza Panevino improvvisa con Livio e Manfredi e alla passeggiata fa de “La vita liquida” un inno al tramonto. Come Ambrogio Sparagna e Anna Rita Colaianni che guidano il pubblico nei canti popolari. E c’è Ivan Fantini che somministra cibo e poesia. Ci sono, nella controra, le improvvisazioni di musica popolare con la Ragnatela folk band. Per chi è stanco ci sono coccole alla Casa della Paesologia, con la Comunità Rncd-Clown e sognatori pratici.
Miracoli e apparizioni all’Anfiteatro affacciato sui calanchi. Il concerto di Brunori sas si tiene davanti ad una enorme scenografica luna piena tridimensionale e tra “La verità” e “Secondo me” si innalzano “Bella ciao” e “Briganti se more”. Miracoli come come Antonella Ruggiero che canta all’alba “Ti sento” e sembra che sia la sua voce a far nascere il sole sulla valle lunare della Lucania. Quasi miracolo è pure che Ulderico Pesce possa qui rappresentare “Petrolio”, scomodo monologo teatrale sulle trivellazioni lì in Lucania e le relative inchieste.
Tra i tanti altri protagonisti, è stato dato spazio, fuori programma, a giovani artisti, poeti, musicisti, cantanti che erano presenti alla festa.
Resta il dubbio che i miracoli si possano ripetere. Il pubblico di “La luna e i calanchi” è in crescita, l’organizzazione è complessa, la pressione sul paese è molto forte, le risorse sono scarse. Il sindaco Luigi De Lorenzo e il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi aprono qualche possibilità, certezze non ce ne sono. Terminato il festival, facendo un bilancio prettamente economico, prima di quello poetico, Arminio ha annotato che l’indotto per il paese e i dintorni è il doppio delle risorse pubbliche a disposizione.
L’indotto in letizia è certo maggiore e più duraturo, è seminato nelle anime. Ora “restano i canti”. Il poeta, con i suoi testi è un buon compagno di viaggio ed è di nuovo in giro per città e paesi l’Italia. “Adesso è il momento di alzarsi – scrive Arminio in “Terracarne” – e fare le cose in cui crediamo. Non dobbiamo riempirci la testa dei pensieri degli altri, dobbiamo raccontare i nostri”.
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