Luce oltre il silenzio film di Giuseppe Racioppi racconta la vita di una giovane donna, Giulia, interpretata dall’attrice emergente Diletta Laezza, modella caduta nel tunnel della droga e della prostituzione, alla disperata ricerca di una via d’uscita alla sua condizione di dipendenza. L’intento del regista sarebbe stato quello di realizzare un “docu-film” che raccontasse le speranze illusorie e i retroscena inquietanti del mondo della moda che lui ha avuto modo di conoscere in passato. La sensazione, però, è più quella di trovarsi di fronte un videoclip di venti minuti (il film non presenta dialoghi ma è solo musicato, da qui “il silenzio” del titolo) sconclusionato e spiazzante per la sua totale mancanza di senso e di coerenza narrativa. Racioppi dice di aver realizzato il film seguendo delle “suggestioni” ma non fa altro che assemblare una serie di immagini che non raccontano nulla, tanto meno il mondo della moda che dovrebbe essere il fulcro della narrazione.
Il resto dei personaggi non sono altro che comparse di cui si fa fatica a ricordare i volti, escluso “il cattivo” della storia, una sorta di presenza mefistofelica (interpretato dal bel tenebroso Mario Ermito) che circuisce la protagonista per farla “cadere in tentazione”, seguendla come uno stalker nei posti più improbabili. Eva Grimaldi, nei panni di una senzatetto, appare alla fine della pellicola come una sorta di angelo del Paradiso che salva la ragazza dalla perdizione, semplicemente sussurrandole all’orecchio qualche parola. Il film non è visionario, non è evocativo, non è simbolico né surreale semmai è ridicolo: non bastano una ballerina vestita di bianco che danza sulla spiaggia, un mimo spuntato dal nulla e un crocifisso a rendere arte ciò che chiaramente non lo è. Tanto meno mostrare una siringa infilata nel braccio di una ragazza stuprata serve per generare una reazione emotiva o provocare se non inserita in un contesto narrativo.
Un film senza stile e povero di idee e contenuti, visivamente ingenuo e pretenzioso da risultare imbarazzante, che si avvale, d’altro canto, di un’ottima colonna sonora, realizzata dal Maestro Vincenzo Incenzo. E’ lui a regalarci l’unica scena degna di nota del film, quella finale, in cui il musicista intona il suo brano Il primo giorno dell’estate, singolo del suo primo album da cantautore Credo, prodotto da Renato Zero. Incenzo accompagna con delicatezza le scene del film, cercando anche di contrastare alcune immagini particolarmente cruenti con la poesia delle sue note. Nella scena in cui vediamo la protagonista prostituirsi in un vicolo buio, Incenzo affida la narrazione (dato che il film è senza dialoghi) ad un coro di bambini colombiani che cantano la loro disperazione di essere solo merce di scambio. Il film realizzato ad Ascoli Piceno ci mostra alcune belle immagini della città marchigiana con le sue piazze e le sue chiese, rivelandoci un luogo poco conosciuto d’Italia. E’, infatti, una di queste chiese marchigiane a rappresentare l’unico filo narrativo della storia di Giulia: il messaggio è chiaro, per redimersi bisogna affidarsi alla fede e aspettare un segno dal cielo, in questo caso impersonato dalla clochard. Purtroppo, però, trattare con tanta leggerezza un argomento così serio come la dipendenza dalla droga rischia di banalizzare oltremodo una problematica così importante e dare allo spettatore messaggi fuorvianti. In fondo al tunnel della droga, o di qualsiasi dipendenza, spesso non c’è nessuna luce e se c’è non proviene certo da qualsivoglia Dio. L’incipit del film parla di “liberazione dalle colpe” e, sinceramente, in un contesto dove si parla di droga, di stupro e prostituzione si fa fatica a capire di chi siano queste fantomatiche colpe.