“Fanculo i numeri” – direbbe forse Danny Boodman T.D. Lemon Novecento davanti a queste cifre. Qui siamo ormai quasi alla metafisica della rappresentazione. Da quando per la prima volta il testo andò in scena al Festival di Asti nel giugno del 1994 sono passati ormai 25 anni e nè Alessandro Baricco che scrisse il testo per la regia di Gabriele Vacis e per l’interpretazione di Eugenio Allegri si sarebbero mai aspettati un risultato del genere. Baricco lo scrisse pensando proprio a loro due, che non si tirarono indietro, quando il giovane scrittore diede loro il primo manoscritto. Curioso come poi questo sodalizio tutto torinese abbia dato vita ad una collaborazione proficua anche in altri ambiti, come per esempio quello televisivo con Totem, del 1998.
Tutti conoscono la storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, un orfano che nasce e muore sul piroscafo Virginian. Musicista eccezionale, leggendario anche sulla terraferma, nel corso della sua vita non scenderà mai a terra, pur avendolo un giorno addirittura desiderato e provato… e molto di più, naturalmente.
Ciò che accade a teatro quando Allegri entra in scena è pura metafisica. Ascoltiamo la storia di uno raccontata da un altro che poi diventa quello lì di cui narra. Allegri è al contempo il narratore, Tim Tooney, il protagonista Danny Boodman e anche tutti i personaggi che girano intorno, da Jelly Roll Morton al capitano della nave.
Lo hanno chiamato teatro della narrazione ma i contorni sono più ampi. Nonostante i 25 anni di scena Eugenio Allegri dice che ci sono ancora persone che non lo hanno visto o che addirittura tornano a vederlo perchè nel testo scoprono sempre qualcosa in più. E anche lui stesso. Che quando ha iniziato non aveva nemmeno 40 anni e oggi è un signore che ha passato i 60….
Allegri riesce sempre, ad ogni prova, a dare un tocco, una danza, un movimento di onda, a trovare una nota mai suonata prima. Personalmente, pur conoscendo il testo e avendo visto il film con Tim Roth e letto ogni sorta di critica su Baricco non ero ancora riuscita a vederlo a teatro. E invece. L’esperienza è quasi fisica, con quel grande telo che diventa mare e pianoforte e ancora mare e poi il Virginian stesso.
Attraverso le parole che diventano onde viaggiamo lungo la vita di un uomo che ha rinunciato a vivere ed ai suoi sogni per vedere la vita tramite i ricordi e i racconti degli altri. Un uomo che ha avuto paura di non vedere la fine di quella grande civiltà che gli si parava davanti, che ha preferito “la famiglia” del piroscafo rispetto ad una sua… Novecento, naturalmente è questo, ma anche di più.