Il Maestro e Margherita si apre con l’arrivo di Satana (Woland) e della sua bizzarra cricca (il valletto Korov’ev, il gatto Behemot e la strega Hella) nella Mosca degli anni Trenta. La vicenda ha inizio quando Woland, intromettendosi nella conversazione tra il poeta Ivan e l’intellettuale Berlioz, presagisce la vicina morte dello stesso Berlioz; morte che, poco dopo, accadrà proprio sotto gli occhi di Ivan.
Al Teatro Eliseo di Roma va in scena fino al 3 febbraio il capolavoro visionario e fortemente satirico scritto dal russo Michail Bulgakov nel 1928. Il testo riscritto da Letizia Russo vede la regia di Andrea Baracco. “Il Maestro (personaggio che ha più di una somiglianza con Bulgakov stesso) e Margherita (da molti riconosciuta come moglie dell’autore, (Elena Sergeevna) – ha scritto Baracco nelle note di regia – rimangono fatalmente impigliati, imprigionati quasi, l’uno nel corpo e nella mente dell’altra, più nella mente che nel corpo, forse“.
Nei panni di Woland, c’è Michele Riondino che molto ricorda il Joker di Heath Ledger. Ad interpretare il maestro, Francesco Bonomo che sarà anche tra i protagonisti di La Cena delle Belve dal 19 febbraio al 3 marzo al Teatro Quirino. Insieme a lui sul palco, Federica Rosellini nel ruolo di Margherita e poi Giordano Agrusta, Carolina Balucani, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe e Oskar Winiarski.
Come nel libro, il regista fa confluire i molteplici piani narrativi verso un’unica direzione, la follia. Tre vicende lontane tra loro nel tempo e nello spazio: dalle latitudini moscovite degli anni Trenta alla Gerusalemme del I secolo d. C., fino al tempo della prefettura di Ponzio Pilato. Un via vai di porte che si aprono e si chiudono permette di intrecciare le storie. Il ghigno «diabolico» di Michele Riondino incombe sul palco insieme al suo strambo seguito costituito da Behemot. Si atteggia a prestigiatore che promette di rivelare i segreti che si nascondono dietro i suoi colpi di mano che cambiano il corso degli eventi ai tanti protagonisti.
Rendere visibile la miseria del genere umano è uno dei risultati più notevoli di Baracco. Le ombre scure proiettate dalla figura seduttiva di Woland confondono gli spettatori: c’è davvero una forza che crea il caos? E’ illusione o verità? Oppure è una specie di esaurimento nervoso collettivo? È tutto ombra e specchi? Probabilmente no. Il diavolo è il tema che attraversa l’intera messa in scena. “Anche questo mondo è un po’ mio”, rivendica Woland. Inizia a generare dubbi politici e morali. Che cosa sarebbe il bene, se non esistesse il male. La colpa, se non esistesse l’innocenza. Il coraggio, se non esistesse la codardia.
In questo mondo sottosopra, sembra che Woland possa persino concedere favori a tutti. “Heads is tails”, come Mick Jagger canta in “Sympathy for the Devil”. Baracco, al pari di Bulgakov, ci porta così a interrogarci sulla moralità di Woland, la cui esatta natura rimane comunque un enigma.
Il Maestro e Margherita, anche nella sua trasposizione teatrale, si conferma un racconto inquietante e complesso che gira intorno ad un comune denominatore: la paura della verità, e l’ossessione della sua ricerca.