Nei cinema, l’offerta per trascorrere una serata o un pomeriggio allargati su morbide ed accoglienti poltroncine non è deficiente, ma per rispondere a chi chiede un consiglio su un film ‘carino’ da andare a vedere, rispondo d’istinto: Conversazioni Atomiche è più che ‘carino’. Suggerire un film significa anche aspettarsi uno sbuffo indispettito, se si è accennato al fatto che, nel film in questione, la protagonista è la Scienza e che no, non si tratta proprio di un film, ma di un documentario firmato dal regista Felice Farina. La soddisfazione, quindi, è doppia quando il display del telefono si illumina e l’indispettito sbuffante, fiondatosi al cinema, whatsappa che gli è piaciuto un ‘casino’.
Prodotto da Istituto Luce Cinecittà, co-distribuito da Luce e Nina Film, già ben accolto al Festival della Scienza di Genova e al Trieste Science + Fiction Festival, Conversazione atomiche è, infatti, da ieri, 13 dicembre, in proiezione nelle sale a Roma, Milano, Firenze, Bologna. Dopo il bellissimo Patria, del 2014, tratto dal libro omonimo di Enrico Deaglio, in cui il regista romano metteva in scena un trentennio cruciale di storia d’Italia, dal 1978 al 2010, Farina interpreta, gira, scrive soggetto e sceneggiatura di un documentario che è un esperimento di sapienza autoriale.
La narrazione è sì divulgativa: commedia e poetica da road movie integrano, in montaggio, dialoghi che alternano gag e spiegazioni rivelatrici, impreziositi da immagini di repertorio e ‘gite’ nei templi dell’eccellenza scientifica italiana: dall’Acceleratore di particelle di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, dall’Interferometro Virgo all’Osservatorio astronomico di Campo Imperatore. Tutto celebra la vitalità, la bellezza di ciò che è stato ed è conoscenza, esplorazione, sperimentazione, scoperta scientifica in un paese che stenta, oggi, a riconoscerne non solo l’importanza, ma il valore etico in prospettiva filosofica. Compagno di avventura di Felix-Felice, è Nicola (Nicholas Di Valerio, cosceneggiatore, coprotagonista e autore delle musiche), una sorta di imbelle giovin apatico, il cui scetticismo verrà disintegrato dalle meraviglie, ad una ad una, svelate.
In un ideale viaggio della conoscenza, Felice e Nicola incontrano i ‘guardiani’ dei tesori, sciamani che non ti aspetti: ricercatori, fisici teorici, astronomi, scienziati che hanno dedicato la loro esistenza al disvelamento di misteri. Donne e uomini educati all’esercizio della pazienza in attesa di un segnale, di una variazione, dell’inatteso ipotizzabile o di una conferma dell’infinitamente probabile. Donne e uomini, funamboli e fanciulli allo stesso tempo, catturati nell’emozione di una domanda, un quesito da porre e da porsi, mentre la risposta è in potenza, nell’atto sperimentale.
Paul Valéry a proposito della perfezione scriveva che essa ‘si definisce con l’esaurirsi del desiderio di modificare’. La scienza raccontata da Farina non è il regno della perfezione, in questo senso, poiché coloro che ne percorrono i cammini non smettono mai di cercare. Gli scienziati sono gli avventurieri per antonomasia, ricercatori di mille e più sacri graal. La loro (po)etica è espressa dall’intento, più o meno velato, raramente vile, di ‘smentire’ quanto precedentemente appreso, più spesso di aggiungere versi e prose, auspicando una sintesi, per raccontare gli oggetti dell’universo, infinitamente piccolo, incommensurabilmente grande.
Dopo aver visto Conversazione Atomiche, tornano in mente le parole di Edward Witten, uno dei padri della teoria delle stringhe. Nel lontano 2002, in occasione della festa per la celebrazione del sessantesimo compleanno dell’indimenticabile Stephen Hawking, rivolto alla comunità scientifica e ai convenuti, Witten non menzionò i successi accademici conseguiti dell’amico Hawking, ne celebrò invece la capacità di coinvolgere la gente, i non addetti ai lavori. Hawking è stato un grandissimo divulgatore, capace di avvicinare tutti all’astrofisica ed al piacere della ricerca, perché la Scienza è di tutti. Quello di Witten si trasformò in un appello accorato ed in un monito: divulgare la conoscenza scientifica, raccontarla alla gente è un dovere. Il rischio che paventava era che, ad un certo punto, ‘la gente’ non capisse ‘più il motivo per cui una parte delle loro tasse andasse alla ricerca’, quello sarebbe stato il momento in cui ‘i politici’ avrebbero smesso ‘di sostenere la scienza’. Il presente, fatto di ignoranza e diffidenza nei confronti della scienza, sembra dare ragione a Witten. Abbiamo bisogno di film come Conversazioni Atomiche per ricordare, ridendo, dove risieda la grandezza del paese e del ‘popolo’ che lo abita, dove ancora risieda la possibilità di riscatto. È quasi una questione di sovranismo atomico.