“La scienza dovrebbe essere al servizio della verità. Se la verità non è considerata come un valore, la scienza può diventare pericolosa”. È quanto ci spiega il regista polacco Krzysztof Zanussi. Le sue parole vanno al sodo e sintetizzano alla perfezione il senso da conferire al suo Ether, in concorso alla 13esima edizione del Festival del Cinema di Roma. Con questa ultima prova, Zanussi riprende il mito di Faust e in senso ampio lo rigenera, attualizzandolo. Se l’opera di Goethe definiva e svelava l’anima dell’uomo moderno, Zanussi mette a nudo la ‘bestia contemporanea’ che alberga sopita in ciascun uomo, il rapporto di questa con il potere, il desiderio smanioso di esercitarlo, ad ogni costo, oltre che sulla natura, sui propri simili, attraverso il braccio tecnologico della scienza.
La storia che Zanussi narra è collocata negli anni che precedono la prima guerra mondiale. Una scelta temporale non casuale : “la prima guerra mondiale è il momento in cui l’Europa perde la sua innocenza ed ha inizio un processo di decomposizione e svelamento della nostra cattiva coscienza. L’Europa si è scoperta non più culla della civiltà opposta alla barbarie”. Come il protagonista dell’opera goethiana, il personaggio costruito da Zanussi è un dottore (Jacek Poniedzialek), uno scienziato, un medico militare dell’esercito austro-ungarico, un doktor senza nome la cui unica aspirazione è ottenere il controllo della volontà delle persone, di ‘almeno una’, attraverso l’uso dell’etere. Una bramosia che si fa delirio di onnipotenza con il supporto del sapere scientifico che pretende di possedere e che lo indurrà a scegliere il compromesso con la manifestazione oscura di una potenza, questa volta non fisica.
La critica al paradigma scientifico, alla sua pretesa capacità oggettiva di leggere e correggere la fragile imprevedibilità umana rende Ether una buona prova morale, ma di visione difficile che indugia nel grigiore della pur potente fotografia e nel realismo didascalico che accompagna la descrizione del protagonista e dei co-personaggi. La drammaturgia forse troppo dilatata che accompagna l’intenzione meditativa apre ad un finale pedagogico. La dimensione metafisica, malefica, ha bisogno invece di un’autonomia anche narrativa. In quanto metafisica è di fatto al di là della storia, al di là degli uomini, della scienza, del rigore militare, nel contesto di confine, che si accompagna alla sregolatezza dei costumi di ciascun personaggio. Collocata nel paragrafo conclusivo, la storia segreta (metafisica) trasforma il metatesto morale in un ammonimento escatologico: il doktor, senza etica, senza credo, senza alcuna caratterizzazione se non la codardia, non sfuggirà al suo oscuro destino.
Con la sua ultima fatica, il grande cineasta polacco, dalle lontane origini friulane, peraltro non dimenticate, non fa che confermare il carattere puntuale, chiaro, rigoroso del suo fare cinema. La sofisticata ricerca intellettuale espone senza mezzi termini una visione del mondo che è sì religiosa, ma non bacchettona: chiede con insistenza di ripensare il nostro esser-ci. Al di là dell’opera, del giudizio sulla stessa, lo sforzo di Zanussi è indubbiamente premiato: lo spettatore resta seduto, inchiodato; ricambia sul finale, forse sollevato, il sorriso beffardo del doktor e mentre scorrono i titoli di coda non può non chiedersi quanto di sé ci sia in quel dottore senza nome.