Alla fine degli anni Novanta, Torino vive un momento di particolare fermento. La costruzione dei primi cantieri TAV in Val di Susa scatenano le proteste dei residenti. Le istituzioni temono il rischio di attentati da parte dei collettivi anarchici e monitorano qualsiasi possibile attività eversiva. Inizia una caccia alle streghe che travolge giovani innocenti. Tra questi c’è Soledad Rosas, ventitreenne originaria di Buenos Aires, ingiustamente accusata di essere la terrorista più pericolosa d’Italia insieme al suo compagno Edoardo Masseri (e a Silvano Pelissero). Una volta arrestati, i due giovani andranno incontro ad un destino tragico.
Il racconto di questa ingiustizia è il documentario Soledad, primo lungometraggio di Agustina Macri. Tratto dal libro Amore e Anarchia di Martìn Caparròs, il film, presentato alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Alice nella Città, evoca la storia di una ragazza accusata di essere una terrorista ma senza ricorrere a facili mistificazioni. La regista si attiene ai fatti, ricostruendo in tutta la sua assurdità una vicenda dai contorni inquietanti.
Soledad Rosas arriva in Italia nel 1997 per trascorrere un periodo di vacanza dopo la laurea. Non sa molto di politica ma si avvicina alle posizioni anarchiche grazie ad alcuni giovani del posto, tra cui Edoardo Massari. I due si innamorano e occupano insieme ad altri anarchici un ex manicomio a Collegno, condividendo un sogno di giustizia e libertà che infastidisce la procura torinese. Quando Soledad, Edoardo e Silvano vengono arrestati con l’accusa di far parte dei Lupi Grigi, un fantomatico gruppo sospettati di star organizzando un attentato alla Tav, subiscono una feroce campagna diffamatoria da parte delle istituzioni e dei mass-media. Il peso delle accuse, infondate e fabbricate ad hoc, porterà Edoardo, il 28 Marzo, e poi Soledad, l’11 Luglio 1998, a togliersi la vita, impiccandosi durante la detenzione.
Agustina Macri
Nel film, Amore e Anarchia sono due sentimenti che si toccano e si confondono. Entrambi partecipano alla speranza che ci sia qualcosa di migliore, anche quando le conseguenze possono essere estreme. Baleno e Sole, pseudonimi di battaglia adottati dai protagonisti, instaurano tra loro un rapporto amoroso legato a doppio filo con la guerra che combattono, una guerra che li porta a perdere la vita esattamente come accade in un dramma shakesperiano, dove i protagonisti pagano un prezzo troppo alto rispetto alle colpe commesse.
“Erroneamente crediamo che queste morti non succedano più, che non si muore più per amore – spiega la regista –. “In questa storia Soledad Rosas emerge come un’icona degli anni ’90, una Giulietta postmoderna che ci dimostra che si può credere nell’amore fino a morirne”.
L’argentina Vera Spinetta risulta credibile nel difficile ruolo di Soledad e anche il resto del cast, da Marco Cocci a Giulio Maria Corso nel ruolo di Baleno, è ben diretto. La cura per i dettagli è maniacale, una eredità dell’esperienza che Spinetta ha acquisito collaborando con la squadra di documentaristi di Oliver Stone.
I flashback ricostruiscono con precisione le origini borghesi di Soledad, i suoi rapporti difficili con i genitori, la presa di consapevolezza anarchica e le varie tappe dell’amore con Baleno. Le parti in stile mockumentary ci permettono invece di empatizzare con una storia che purtroppo non è una vicenda isolata. Da Carlo Giuliani a Federico Aldrovandi fino a Stefano Cucchi, troppe sono, nella storia italiana, le morti per mano di uno Stato che inquisisce, pesta e necessita di trovare un colpevole a tutti i costi.
Soledad Rosa, Edoardo Massari e Silvano Pelissero sono stati dichiarati innocenti solamente nel 2002, quando una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito l’inconsistenza dell’accusa di associazione eversiva e di atti terroristici contro la costruzione della TAV. Nel 1998 Fabrizio De Andrè omaggiava Soledad Rosas dedicandole, durante il suo ultimo tour, Smisurata Preghiera. Ricordare oggi pagine nere come questa può evitare che certe storie si ripetano.