Ammesso all’ultimo Festival di Cannes e presentato fuori concorso in anteprima mondiale, dal 27 settembre, The Man Who Killed Don Quixote (L’uomo che uccise Don Chisciotte) è in proiezione anche nelle sale italiane. All’appuntamento milanese, nella cornice trepidante del Multisala Colosseo, era presente anche Terry Gilliam. Accolto con affetto ed entusiasmo dal pubblico in sala, Gilliam ha ricambiato il caloroso benvenuto, regalando minuti di verve umoristica, tratto caratteristico della sua geniale poetica.
Le vicende, la storia della produzione e delle difficoltà incontrate nella realizzazione del film, è noto, sono state raccontate nel documentario Lost in La Mancha, scritto e diretto da Keith Fulton e Louis Pepe, nel 2002. Una produzione indipendente che metteva in pellicola il processo ed i tentativi fatti da Gilliam per portare a compimento il suo Don Quixote, sovrapponendovi filmicamente la catarsi dell’hidalgo di Cervantes nel suo divenire eroe. Sono trascorsi 16 anni dall’uscita di quel film documentario, circa 25 invece dai primi passi mossi dal regista americano per mettere in scena la modernità letteraria del Don Quixote. A questo punto non resta che attendere il follow-up di Fulton e Pepe, He Dreams of Giants, a cui spetta la narrazione del lieto fine cinematografico.
La lunga attesa, fatta di sceneggiature strappate, l’ultima, quella buona, firmata dallo stesso Gilliam e da Tony Grisoni, finanziamenti falliti e pura sfiga, è ripagata e compensata da un prodotto finale che sebbene non sia ‘rivoluzionario’, si pensi ad un confronto con Brazil, 12 Monkeys o Tideland, ha di certo il merito di intrattenere lo spettatore e di incollarlo all’ intensità gioiosamente caotica della trama. Un concatenamento di trovate e salti temporali e narrativi collocati in scenari fotograficamente dipinti da Nicola Pecorini con panorami naturali alternati ad ambientazioni barocche e scene come tavole animate a colori e luci intense e personaggi che prendono vita tridimensionalmente, come saltati fuori da pagine scritte: poesia e follia e miseria di ciascuno concorrono ad aprire sorrisi e diffondere allegria.
The Man Who Killed Don Quixote non è la messa in scena del romanzo di Cervantes. Il Don Quixote è sì il personaggio che ingaggia la personale battaglia contro mulini a vento, ma è la sua relazione con gli altri personaggi e l’importanza di questi che rende il racconto di Gilliam del tutto autonomo rispetto all’opera di Cervantes, pur conservandone l’essenza. Gilliam consegna al personaggio di Sancho Panza il compito di reinterpretare il viaggio di consapevolezza e trasformazione. Sancho Panza, da scettico e razionale fedele scudiero, vacillerà e diventerà egli stesso soggetto rapito dalla magia dell’auto-illusione.
Tanti i livelli che contribuiscono a creare l’architettura filmica. Un perfetto Adam Driver, interpreta Toby, l’arrogante e viziato pubblicitario prestato al cinema per la realizzazione di un film su Don Quixote. Il film che stenta per carenza di ‘idee’ e varie altre sfortunate coincidenze, è finanziato da un meschino uomo d’affari, The Boss, interpretato da Stellan Skarsgård, sposato ad una viziata e viziosa, Jacqui (Olga Kurylenko), che cerca di sedurre Toby. Questi senza più ispirazione deve agire in fretta per permettere a The Boss di siglare l’accordo con il magnate oligarca russo, Alexei (Jordi Mollà), proprietario di un castello in cui si mettono in scena fasti e squallore umano per divertirlo ed assecondarlo. La critica di Gilliam al mondo del dietro le quinte della settima arte non è per niente velata.
Toby però è svogliato e solo per caso recupera il vecchio dvd del suo primo film girato quando era ancora uno studente. Un film in bianco e nero che non a caso è un adattamento del Don Quixote. Così inizia il suo viaggio nel tentativo di ritrovare poesia e creatività. Torna nel piccolo villaggio dove aveva scovato il suo Don Quixote, un vecchio calzolaio, interpretato magistralmente da Jonathan Pryce. Qui scopre che le vite degli abitanti di quell’avamposto umano sperduto erano completamente cambiate dopo l’esperienza di quel film. Il vecchio calzolaio non aveva smesso i panni di Don Quixote e girovagava invece in cerca di mondi da conquistare ed ingiustizie da sanare. Messosi sulle sue tracce, Toby diventerà suo malgrado il Sancho Panza, perdendo gradualmente ogni legame con la propria noiosa realtà. Toby ritroverà anche Angelica, interpretata dalla convincente Joana Ribeiro, ‘rovinata’ dalle promesse di fama e celebrità fattele proprio da Toby, quando ancora era solo una giovane adolescente. Divenuta adulta, vivendo dieci lunghi anni di disincanto nello show business, torna nel suo villaggio natale, e lì ‘interpreterà’ la bella Dulcinea del folle calzolaio.
Forse The Man Who Killed Don Quixote non è un film che tutti ricorderanno come un capolavoro, ma è di certo fatto di poesia che si fa riscatto, in maniera semplice e diretta. È un prodotto che racconta dell’amore, della dignità, della morale, dell’etica, ma lo fa con un linguaggio che solo Terry Gilliam può permettersi, essendo genuino, senza retorica, forzature tanto diffuse invece tra i registi di grido pluripremiati, giovani e meno giovani. La spensieratezza di Gilliam è una boccata d’aria fresca: lascia il sorriso stampato sul volto mentre i pensieri scorrono via ancora in allegra tenzone.