Attraverso testimonianze dirette di volontari, sopravvissuti, medici, associazioni, organi di Stato; persone che sono fuggite da qualcuno o qualcosa e altre che – per mestiere, caso, carità cristiana, scelta politica – le hanno accolte e salvate, La libertà non deve morire in mare” vuole restituire voce a chi, sin qui, non l’ha mai avuta o ne ha avuta poca, con un intento meramente documentaristico, nel senso più spoglio, verista e autentico del termine.
Nelle sale giovedì 27 settembre con Distribuzione Indipendente, il film di Alfredo Lo Piero è dedicato a chi era presente sul posto al momento degli sbarchi, a chi lavora ogni giorno per affrontare e gestire al meglio una situazione sempre più delicata e difficile. E in punta di piedi, lontano da retorica, sensazionalismi e facile tifo da stadio – a cui troppo ci ha abituati la comunicazione mediatica in tema di immigrazione – restituisce il ricordo di chi non c’è più, uomini, donne, bambini, esseri umani, la cui vita si è fermata in mare, a due passi dalla meta e dalla libertà.
“Si parla spesso di immigrazione in termini di cifre: il computo statistico dei vivi e dei morti, chi ce l’ha fatta e chi no”, precisa il regista. “Ma dietro l’asetticità dei calcoli ci sono le storie, le vite, i sogni spezzati e i sogni ancora da inseguire. Si parla e si scrive tanto di immigrati, ma al di là dell’abuso tematico – e delle sue ricadute sul sociale – vogliamo continuare a pensare ai vissuti che stanno dietro le facce spaurite e le braccia tese delle foto sugli schermi e sui giornali. Vogliamo pensare alle lacrime e ai sorrisi, alla speranza e alla paura dei migranti, spogliati dallo status di oggetto di cronaca”.
A rendere possibile un progetto così complesso, l’umana e gratuita partecipazione di un cast tecnico di professionisti, che hanno fornito supporto, vicinanza, competenza. Sono stati impiegati operatori subacquei, piloti di droni, operatori all’estero, traduttori, centri accoglienza, si è fatto ricorso all’archivio filmico della Guardia Costiera, Guardia di Finanza e Medici Senza Frontiere, sono state rintracciate le testimonianze dei protagonisti e dei sopravvissuti, tutti liberi di raccontare la propria verità di fronte alla telecamera.
“La libertà non deve morire in mare”, visto oggi, è quasi un documento storico, tanto è cambiata l’Italia e l’assetto sociopolitico in soli due anni, come spiega l’autore: «Il mio non è un film politico, lotterò sempre per non farlo strumentalizzare o percepire come tale; è un film umano, realizzato in un periodo storico, se pur recente, differente da quello attuale: mai avrei immaginato che a distanza di appena due anni quegli stessi “eroi”, con e senza divisa, potessero essere additati, vincolati, obbligati a nuovi protocolli, drastici e fuori da ogni ragione».