Nelle sale italiane dal 21 giugno, distribuito da Teodora Film, “Thelma” è il nuovo film del regista norvegese Joachim Trier. Il nome del titolo è quello di una ragazza di provincia (Eili Harboe), cresciuta in una famiglia molto religiosa e appena arrivata a Oslo per frequentare l’università. Qui si rende conto di avere poteri incontrollabili legati a segreti del passato e riattivati dai suoi furiosi ormoni.
Il film si rifà iconicamente a quel genere cinematografico che usa il soprannaturale come metafora del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, un periodo carico di ansie, desideri e orrori. Per la protagonista, scoprire di possedere facoltà paranormali capaci di influenzare la realtà e le vite degli altri non è così eccitante come ci si potrebbe aspettare da una eroina classica. Al contrario, i poteri isolano Thelma da chi le sta attorno, proprio nel momento in cui è più desiderosa di trovarsi degli amici e affrancarsi da genitori apprensivi che le instillano il senso di colpa tutte le volte che non risponde subito alle chiamate.
Diverse sequenze oniriche evocano la lotta interiore di Thelma per difendersi dall’attrazione fatale che prova nei confronti di Anja, (Kaia Wilkins), bellissima compagna di studi.Una passione così forte da scatenare nella protagonista convulsioni psicogene e una serie di eventi strani tra cui corvi che si schiantano contro le finestre, serpenti tentatori che strisciano sul suo corpo, e anche dentro, e un vortice di luci intermittenti. Un facile escamotage utile a creare una narrazione che partendo dai contorni sfocati della malattia mentale, si snoda tra le maglie strette dell’estremismo religioso per arrivare al tema della sessualità repressa, vero cardine del film.
Comincia a farsi strada l’idea che c’è qualcosa di sbagliato nella sceneggiatura quando il film indugia sugli affanni di un medico che con strumenti non proprio d’avanguardia cerca di indagare le possibili cause del disturbo convulsivo di Thelma. Se nel corso del film la giovane ha crisi “che sembrano epilettiche ma non sono proprio epilettiche”, verso il finale assistiamo allo spettacolo pirotecnico di “Carrie – Lo sguardo di Satana”, il cult di Brian De Palma.
Non soddisfatto, Trier riconduce il concetto di timore esistenziale (sempre unito a un sentimento giovanile del divenire) ad un’immagine caricaturale del puritanesimo che vede Thelma implorare Dio di liberarla dalle lesbiche. Tuttavia Dio sembra avere altre idee in mente.
Insomma il film assomiglia ad un’annacquata e scolastica tesi teologica e segue un percorso fin troppo prevedibile. Solo a tratti si intravedono sprazzi di una scrittura mai banale nella costruzione dei dialoghi e dei personaggi che hanno fatto di Oslo 31. August del 2011 e Segreti di famiglia 2015, i suoi film più acclamati da pubblico e critica.
Ma il maggior difetto della pellicola sta nel fatto che Trier e il suo compagno di scrittura Eskil Vogt non riescono a farci capire che tipo di film avevano in mente di girare e finiscono per confezionare una trama incerta che ondeggia in modo spregiudicato tra storia di amore gay, thriller psicologico, racconto di formazione e horror erotico, che ci sta sempre bene.