Si avvicina il momento delle nuove nomine dei vertici Rai e TuttoSommato.info ha intervistato Luca Mattiucci, 36 anni, giornalista professionista e manager, che ha lanciato la sua candidatura a consigliere Rai con la campagna social #laRAIchevorrei al fine di coinvolgere cittadini e persone comuni e raccogliere consigli e desideri sulla Rai di domani.
Visione, Trasformazione, Sostenibilità. Le tre aree di interesse che intende rilanciare nella Rai che desidera nel caso la sua sia una candidatura di successo. Sono 236 le candidature pervenute sia alla Camera che al Senato. Pochissime le donne. Nella Rai che vorrebbe che ruolo ricopre la professionalità al femminile? E che tipo di prodotti culturali immagina per fare della TV di stato un modello di educazione alla parità di genere?
Più che rilanciare direi che questi sono gli asset necessari per fare di un broadcaster una media company. Senza visione si resta fermi al palo e la sostenibilità rappresenta un investimento ancor prima che sull’azienda su tutta la società che le è intorno. Il mio indice di successo non è dato da quanti consensi riceverò alla Camera, piuttosto da quanti dei punti del mio programma, sintesi di riflessioni fatte da esperti del settore e di cittadini, potranno essere attuati da un CDA, con dentro me oppure no. Tra donne e uomini non c’è differenza, questo è uno dei processi di trasformazione culturale di cui la RAI deve rendersi protagonista. Lo si fa dedicando spazi ad hoc educativi, ma soprattutto permeando tutta la produzione di questo concetto. Per quanto riguarda chi lavora in RAI, anziché chiudersi nel semplicismo delle “quote rosa” che garantiscono sì delle posizioni ma appaiono più come un recinto per mettersi al riparo da critiche, si deve investire in strumenti aziendali adeguati che mettano in condizioni le donne di poter rivendicare carriere legittime. E’ più rischioso perché garantire ciò significa esporsi in prima persona se il processo non funziona, ma se riusciamo il risultato sarà una RAI che vede valorizzate le tantissime professionalità al femminile che ha al suo interno. Mi permetto una riflessione sui candidati. L’idea di aprire la RAI ai curriculum è stata ottima. Pubblicizzarla zero decisamente no. Se vede la stragrande maggioranza hanno consegnato il proprio curriculum sul finire di Maggio, quando cioè alcuni media hanno lanciato la notizia delle candidature, quelli informati da tempo erano davvero pochi. Un peccato.
Il programma lanciato dal suo blog propone di dare spazio ai giovani. Che intende con questa espressione? Mi spiego, l’espressione è di per sé spesso abusata. Vi sono professionisti e professioniste di livello altissimo che per età anagrafica, 35-50 anni, sono inclusi nel mercato del precariato nei casi migliori, esclusi per fare spazio ai giovani o giovanissimi, più educabili alla precarizzazione dei contratti. Quando lei sostiene che la Rai che immagina punta a sfruttare le risorse interne intende procedere alla riqualificazione delle professionalità interne innovando con innesti di giovani leve, garantendo così uno scambio generazionale di competenze e formazione?
Spazio ai giovani vale per tutti, vale per un CDA che deve guardare alla RAI del futuro e dev’essere composto da persone che quel futuro lo respirano e non lo hanno solo studiato. Ho visto di candidati che sono stati consiglieri Rai in passato o di altri che hanno eccellenti esperienze accademiche, ma qui si disegna la realtà e non posso immaginare che chi deve esplorare la giungla delle telecomunicazioni che verranno lo faccia con la barba bianca. Allo stesso modo non si può immaginare che il collega di trent’anni debba aspettarne altri trenta per mettere sul tavolo una proposta innovativa. La gavetta è sacrosanta, ma qui la vita è diventata un’eterna gavetta dove spesso e volentieri quelli che dovrebbero fare da guide per aiutare e supportare i nuovi entrati li sfruttano senza pensarci su. Quello che mi aspetto è uno scambio generazionale di competenze, che da un lato veda valorizzati i giovani e dall’altro valorizzati i meno-giovani nella trasmissione di competenze e consigli. La precarietà è un problema per la RAI come per la totalità di aziende italiane, ma l’educabilità alla precarizzazione è esattamente ciò che non ci dobbiamo permettere nonostante sia la strada più facile. La precarietà va combattuta su ogni fronte. Attraverso la stabilizzazione, attraverso l’efficientamento delle professionalità interne e smettendola una volta e per tutte di subappaltare qualunque cosa all’esterno.
La Rai che desidera si sviluppa fuori dalla logica delle lobby e dei partiti. Questo significa anche privilegiare format che siano di informazione critica per i cittadini evitando di trasformare le trasmissioni in passerelle di intrattenimento per politici. Come immagina la sua rivoluzione del palinsesto?
La campagna che ho lanciato #laRAIchevorrei su facebook, Twitter e Instagram si propone esattamente di coinvolgere i cittadini nei processi decisionali facendolo per davvero. Se mi chiede del dopo nomine le dico che i partiti in quanto espressione di Governo devono dialogare in modo costante e continuo con il servizio pubblico di informazione ma senza che vi siano ingerenze. Allo stesso modo il servizio pubblico non deve svilupparsi come “potere parallelo” per gestire e orientare la politica. Il processo è simile a quello della burocrazia, dove il burocrate sopravvive al politico sino a divenire la vera chiave di volta di quel potere. Questo è un sistema che abbiamo il dovere di cambiare. Per ora c’è in approvazione l’ultimo palinsesto del CDA uscente, che va detto restituisce una RAI in attivo e pronta per compiere un ulteriore step evolutivo. Posso dirle che mi sarebbe piaciuto vedere gli italiani poter tifare la nazionale di calcio femminile in prima serata ma non credo sia il caso di sollevare critiche su questo o quel programma. E sarebbe gradito lo stesso comportamento dai Consiglieri uscenti.
La proposta per rilanciare dentro e fuori l’azienda poggia anche sull’idea di far devolvere una quota del compenso dei consiglieri del CDA a un fondo per le produzioni e il cinema indipendente.
Sì. La Rai deve tornare a svolgere un ruolo centrale nei percorsi informativi e formativi. Vuol dire creare cultura e investire su documentari, docufilm e formati innovativi. Oltre a rinunciare a una quota del proprio compenso come consigliere del Cda, sarebbe importante ridestinare al fondo parte dei proventi pubblicitari. Non solo. Se è vero che la televisione pubblica si regge benissimo sul canone, lancio la proposta di ridurre la pubblicità e utilizzare quella che ancora viene investita su canali Rai per finanziare produzione piccole e indipendenti ed implementare una “innovation hub”, ovvero un laboratorio che lavori parallelamente alla Rai dove possano trovare spazio giovani creativi e quindi anche giovani produttori e registi. In questo modo si creano nuove generazioni di esperti del settore in grado di portare nuove idee e contenuti innovativi e nuovi format anche in collaborazione con realtà universitarie. Insomma, una sorta di Silicon Valley dedicata al cinema e alla produzione televisiva.