Ci sono film che guardi e film che senti. Ci sono film che quasi si recensiscono da soli, certo con entusiasmo, perché sono prodotti artistici eccellenti che sanno essere anche artefatti funzionali alle legittime logiche dell’industria cinematografica; perché ci si aspetta, in alcuni casi, siano capolavori e per quella relazione alchemica che si instaura tra la visione del regista, la bravura degli attori e l’estetica dell’attesa, finiscono per essere davvero capolavori. Poi ci sono i film come Lazzaro felice di Alice Rohrwacher che sono tutto quello che non si può dire: sono qualcosa o sono tutto quello che le parole fanno fatica a raccontare, a tal punto da poter costringere ad abbandonare la tastiera: è il gesto di ribellione dell’anima, del bambino interiore che sonnecchia in ciascuno e d’improvviso si desta. Come se Lazzaro, interpretato da un superbo Adriano Tardiolo, gli avesse dato una voce, due occhi, due braccia forti, due gambe per camminare il mondo e tutto l’universo a portata di respiro.
Lazzaro felice, nelle sale dal 31 maggio, è così prima di tutto poesia, poi diventa una straordinaria pellicola girata in super 16, interpretata da attori che impressionano, appunto, lo spirito di chi assiste. È messa in scena della sacralità della memoria del nostro paese, l’Italia, attraverso il simbolismo della narrazione fiabesca: c’è una strega cattiva, ‘ la serpe avvelenata’, la marchesa Alfonsina De Luna, interpretata da Nicoletta Braschi, c’è il faccendiere , il cattivo consigliere, la cui figlia è innamorata del marchesino ribelle Tancredi e che per amore violerà la tenuta, l’Inviolata, in cui sono tenuti soggiogati i contadini, svelando così il Grande Inganno. C’è la purezza selvaggia ed inalterata della campagna contrapposta alla durezza selvaggia ed alterata della città che smembra i ricordi e avvizzisce la pelle più del sole. E poi c’è Lazzaro che è tutti i personaggi, tutti loro e tutti noi, la nostra bellezza silenziosa ed indifferente al tempo. Oltre la finzione salvifica della legge e del diritto al di sopra di tutto restano sia pure trasformati l’amicizia, l’amore, gli umori di un mondo antico consegnati trasfigurati alla modernità, essa stessa fragile.
Tutte le fiabe hanno un lieto fine. Così ce le hanno raccontate. L’eroe salva la fanciulla, perché tutti siano felici e contenti, riconciliati; ma Lazzaro non è un eroe, non salva nessuno, nessuno è felice e contento, tantomeno riconciliato. Nessuno comprende chi sia davvero, né stupido, né demone, ma espressione della santità; per questo il suo viaggio termina nell’unico modo possibile, consegnando alla natura brada la speranza del ritorno all’innocenza ed alla bellezza virginia archetipe.
Andare al cinema è sempre farsi un regalo, andare a sentire Lazzaro felice è come farsene tanti.