Shoplifters, (Manbiki kazoku in originale) presentato in concorso a Cannes, è l’ultimo film di Hirokazu Kore-eda. La storia del film è quella della famiglia di Osamu Shibata che fatica ad arrivare alla fine del mese, e che cerca di far quadrare i conti commettendo piccoli crimini, tra i quali furtarelli nei negozi. Quando incontrano una ragazzina che pensano essere senza casa, la accolgono fra loro, e tutti pensano che le cose vadano per il meglio, fino a quando non scoprono la verità su di lei e alcuni segreti vengono alla luce
Un dramma profondamente sentito sui legami familiari, sul significato del vero amore e sull’umiliazione di vivere in povertà. Qual è la definizione di una famiglia? È una scelta o qualcosa che accade naturalmente? Come nei precedenti film, il regista giapponese cerca risposte raccontando di bambini abbandonati dalla madre, di genitori che si scambiano bambini, di sorellastre che si ritrovano dopo la morte del padre.
Kore-eda con uno stile semplice ma efficace mette in chiaro che i legami di sangue ne tanto meno la stabilità economica garantiscono una casa felice. Ma è altrettanto vero che anche chi ha fallito rispetto ai doveri che la società gli impone può essere un buon genitore, perché, come direbbe Jean Renoir, ognuno ha le sue ragioni. Il messaggio non ha nulla di nuovo ma è sincero e profondo. Le buone intenzioni del regista si traducono in dettagli quasi impercettibili che mostrano il calore, le emozioni, i sentimenti che si condividono nella casa, senza cadere in sentimentalismi.
Non solo. Il film si fa critica sociale sui diritti dei lavoratori e del ruolo delle donne in Giappone. La moglie di Osamu, Nobuyo (Sakura Andô), ha un lavoro precario lavorando in tintoria. Sua sorella (Mayu Matsuoka) è nell’industria del sesso. Per quanto riguarda Osamu non può lavorare per un problema alla gamba ma non ha diritto ad alcuna indennità. Una volta che comprendiamo la difficile situazione in cui vivono i membri della famiglia Shibata, la reazione empatica nei loro confronti è immediata.