Un uomo che vaga tra sogno e realtà, affondando nell’ebbrezza dell’alcol e nei colpi di fortuna che la vita, beffarda e generosa insieme, gli concede. Carlo Cecchi porta in scena il capolavoro di Joseph Roth, un racconto che si insinua tra le pieghe dell’anima con un’ironia amara, mentre la regia di Andrée Ruth Shammah dipinge un affresco rarefatto e sospeso, fatto di incontri casuali, illusioni e promesse non mantenute.
La Leggenda del Santo Bevitore va in scena al Teatro India dal 25 febbraio al 2 marzo. Sul palco, insieme a Claudia Grassi e Giovanni Lucini, Cecchi non è solo interprete, ma narratore di una storia che si dissolve nel tempo, nella mente del protagonista e nella fantasia dello spettatore. Le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin avvolgono la scena, trasformando il palcoscenico in uno spazio della memoria, mentre le luci di Marcello Jazzetti e i costumi di Barbara Petrecca restituiscono il senso di una Parigi sospesa tra sogno e deriva.
La società resta sullo sfondo, invisibile ma onnipresente, un’eco lontana che emerge attraverso visioni fantasmatiche e musiche struggenti: Stravinskij, il jazz, melodie yiddish e suoni della vecchia Europa. Il bar in cui tutto si compie diventa un luogo della mente, una taverna onirica dove si gioca con il destino e si brucia l’esistenza, un posto in cui le domande restano senza risposta e la realtà si sfalda nell’ultimo bicchiere.
Un racconto che non cerca spiegazioni, ma lascia scivolare lo spettatore dentro un flusso inarrestabile di emozioni e contraddizioni. Un teatro che si fa specchio della fragilità umana, che accarezza e travolge, proprio come la vita di Andreas Kartak, il santo bevitore.